Gli usi civici in Sardegna.
18 Febbraio 2024Torna Sardegna Economica: spazio agli approfondimenti sull’attualità sarda, con uno sguardo al passato e l’attenzione sugli scenari futuri.
11 Marzo 2024Sardegna Economica non poteva riprendere la sua pubblicazione senza ricordare il suo ultimo, grande Direttore, Paolo Fadda, scomparso all’inizio dello scorso anno. Giornalista, scrittore, saggista, acuto osservatore e analista della società sarda: il ricordo di Fadda è affidato a chi ha condiviso con lui lavoro, passioni, scritti.
Un uomo che ha vissuto le molte stagioni della sua vita associando sempre, per imprinting di coscienza, e certamente già di formazione familiare, scolastica e parrocchiale, la responsabilità all’entusiasmo di ogni nuova fatica venuta in aggiunta successiva, e talvolta in cumulo, alle precedenti. Perché le fatiche sono state quante le stagioni e anche più delle stagioni: ogni stagione ha avuto, nella lunga esistenza di Paolo Fadda (di mille giorni ancora oltre il compimento dei 90!), la sua novità, il suo obiettivo e il suo progetto di lavoro, e perciò la sua fatica – coraggiosa fatica – come compagna ordinaria di percorso. Tanto da non poter neppure fermarsi, l’attore sulla scena, ad intrapresa soddisfatta, a tirare un consuntivo ed a meditarci sopra magari con fare d’accademia, tale è stato l’incalzare delle incombenze in rinnovo continuo nel lungo tempo: dico delle esperienze taluna scaricatagli addosso dalle circostanze, talaltra cercata e curata con l’intento di appagare una intima necessità e soddisfare insieme, però, l’utile (e il gradimento) del suo prossimo. Nella logica appunto della responsabilità sociale, della condivisione dei risultati del suo lavoro – così in azienda, o nelle aziende private o pubbliche via via amministrate, come nel giornale, o nei giornali ricettori dei suoi contributi di opinione o di analisi –, ma anche di una dimostrativa (e mai egoistica) autogratificazione: così in campo culturale o politico, com’è stato nella sperimentazione editoriale (quella della Sanderson Craig) e poi nella creativa direzione di riviste (si pensi ad Agricoltura Informazioni ed a Sardegna Economica!) e collane di studi storici (dall’editore Delfino), o in Consiglio comunale quando l’Amministrazione prese ad ambire, con la formula del centro-sinistra, a più avanzati traguardi distributivi dopo la ricostruzione postbellica realizzata, come solida base, dalla generazione più anziana.
Dentro a tutto, lo spirito pedagogico e “preparatorio”, sempre positivo, proprio dei salesiani come l’aveva respirato negli anni della sua formazione giovanile, e l’intenzione partecipativa negli spazi religiosi aperti, ad un tempo, alla libera discussione ed alla originale preghiera individuale e corale, alla socialità oratoriana ed al più complesso ricamo organizzativo, per missione data, della comunità d’appartenenza su un territorio, quello della Marina di Cagliari, vissuto come naturale espansione domestica. E sempre giornalismo, dopo la carta stampata anche l’web – quello di Cresia –, per il ritorno alla foliazione nella sua orgogliosa resistenza materiale, a dispetto del digitale indirizzato verso le nuove frontiere. Così per alcuni anni, come editorialista de L’Unione Sarda, e immediatamente prima, dal 2004, a Il giornale di Sardegna (e in continuazione ne Il Sardegna, fino al 2010): fondista economico de L’Unione Sarda nella parte finale della sua esistenza, novantenne lucido e perspicace nel pensiero e nella parola, ancora dopo quasi settant’anni – settant’anni! – dacché alla macchina del giornale di Terrapieno aveva mandato le sue cronache sportive o qualche corrispondenza da Sassari, residenza nel giovanile esordio professionale. (Né potrei mancare qui di menzionare, a proposito de L’Unione Sarda, un lungo e prezioso saggio sulla storia del quotidiano che nacque cocchiano prima di passare ai Sorcinelli e al Partito Nazionale Fascista, per riscattarsi nel secondo dopoguerra con una linea liberale fattasi progressista negli anni ’70-80, e passato poi al comando editoriale altamente tecnologizzato di Nicola Grauso e infine a quello, variamente decifrabile e politicamente anodino, di Sergio Zuncheddu: così, “Fine Ottocento e svolta sociale a Cagliari”, in L’Unione Sarda: 120 anni di storia, a cura di Gianni Filippini, 2009).
Le ascendenze in miracolosa concentrazione
Commendatore della Repubblica, Paolo Fadda è stato una… biblioteca di vita, ma non soltanto di intelligenza e studio e cultura, bensì anche di sentimento e passione, o passioni, di prove superate, di risultati, con permanente e spontaneo accompagno di gentilezza formale e sostanziale, mai sussiegosa, né mai di inutile e tronfia saccenteria o di malaccorte esibizioni egotiste. La sua personalità s’è rivelata, così costante nel tempo, come discretamente e intensamente partecipativa ed oblativa nei campi i più diversi dei suoi cimenti. Con un amore speciale, se può dirsi così ed oltre che per la sua città – davvero il primo e perenne amore unificativo di infanzia e giovinezza e maturità –, per quella borghesia “del fare”, non speculativa ma invece “operaia”, radicata nel sociale, tesa a compimenti di larga ricaduta civile, in cui egli stesso affondava piedi e testa, con consapevolezza e permanente disciplina, direi con senso di missione. Anche perché di essa la sua famiglia costituiva, da generazioni e per i diversi canali ed intrecci parentali, parte rilevante: dico parte rilevante di questo mondo borghese “operaio” di robusta competenza, intuizione ed anche antiveggenza, portatrice di una qualche marcata propensione visionaria: si pensi alle bonifiche di Arborea ed alle progettazioni di Dionigi Scano prozio (consigliere della SBS), ai picchi di cultura giuridica e di creatività letteraria dell’altro prozio materno Antonio parlamentare cocchiano, alle abilità manageriali nel settore ferroviario (ma anch’egli portato a Mussolinia-Arborea ed in campo minerario) del nonno Stanislao, alle fabbriche edilizie del padre ing. Luigi (socio di Valerio Tonini – imparentato perché marito di una Salazar della famiglia affine – e insieme con lui “costruttore” anche di tanta parte di Carbonia) e, di tratto assolutamente innovativo, dello zio ing.
Flavio Scano, padre di alcuni fra i più solenni palazzi della Cagliari del primo Novecento e delle ricostruzioni del quartiere di San Benedetto nel secondo dopoguerra. Si pensi, a monte di tutto – e per non scalare ancora – a quell’avo che si sarebbe detto trisnonno rimasto nell’eccellenza della storia intellettuale sarda del primo Ottocento, a Stanislao Caboni cioè, giurista e umanista a tutto campo, ed al genero di questi e padre di Dionigi, Antonio e Stanislao (e d’altra prole femminile), l’insigne magistrato Giovanni Scano Loy. Fu, quella borghesia “operaia” d’impresa e professionale, oltreché attenta al sociale, coinvolta, nel divenire dei tempi e in forme diverse, anche nella rappresentanza, nelle istituzioni politiche od amministrative cioè, così come egli stesso, il commendatore, avrebbe voluto e fatto di sé in tempi più moderni. I modelli gli furono presenti sempre: Antonio Scano deputato per diverse legislature lungo tre lustri nel parlamento giolittiano, Dionigi Scano consigliere provinciale e comunale per quasi trent’anni, Flavio Scano operativo alla Camera di commercio in anni cruciali dello sviluppo economico (minerario, agricolo e industriale) della sua provincia. E d’altra parte si consideri, parallelo a quello che attraverso mamma Fernanda lo riportava agli Scano, l’altro filone familiare, quello che attraverso il papà Luigi lo riportava alla nonna Elena Zedda, o Zedda-Piras, e dunque alla dinastia degli industriali vinai che, partendo da Francesco Zedda-Piras “il cavaliere del nasco” – anche lui presente e attivo nelle vicende elettorali ed amministrative della Cagliari bacareddiana –, larga e meritata notorietà nei mercati isolani ma anche in quelli del continente e dell’estero conquistò e mantenne per oltre un secolo.
E fu proprio dalle ascendenze Zedda-Piras che sarebbe venuta, oltre che la meravigliosa villa Doloretta (dal nome di donna Marcello-Serra bisnonna del Nostro), anche la casa in cui i Fadda – e Paolo Fadda con gli altri – avrebbero vissuto, con agi eppure sobrietà, il loro tempo domestico. Elena Zedda aveva sposato il maggiore (allora giovane ufficiale) Efisio Fadda Marica, due medaglie al valore conquistate sul campo della lotta al brigantaggio postunitario. Altre dinastie borghesi, ancora sul versante imprenditoriale ma anche su quello professionale, s’erano associate alla più giovane generazione, come i Napoleone (poi impegnati nelle storie della Vinalcool), o gli Oliverio e i Devoto, i Nobilioni e i Campurra, i Mulas e i Pani, nomi tutti d’oro della Cagliari civile (e militare) della belle époque e di subito dopo… Perché se poi si volesse, per puro gusto investigativo, cogliere altre ed ulteriori ascendenze e/collateralanze, così da accostare il talento borghese al carisma aristocratico di qualche avo, scoprendo anche in questi intrecci molto di quel dna costitutivo della personalità del nostro Paolo Fadda, ecco che, invero ancora piuttosto facilmente, si potrebbero intercettare e collocare nell’albero genealogico i nomi eccellenti (e già accennati) nientemeno dei Sanjust combinati a quelli dei Salazar iglesienti – discendenti di quei signori venuti nell’Isola al tempo dell’imperatore Carlo V – e degli Asproni, se è vero che due fratelli di nonna (e donna) Francesca (Cicita) Salazar moglie di Stanislao Scano – Efisio e Luigi – avevano sposato due figlie dell’ing. Giorgio Asproni jr. nipote prediletto ed omonimo del parlamentare bittese, Carolina e Beatrice…
Il cattolicesimo della formazione
Di lato, anzi nell’impasto stesso di questa formazione sostenuta da tanti modelli cui potersi ispirare per dare il meglio del proprio ingegno – ed al nonno Stanislao Scano avrebbe dedicato, il commendatore, un perfetto documentatissimo articolo in l’Almanacco di Cagliari 1992 (“Lo spirito del manager”), altri speciali spazi riservando, del suo pantheon, al direttore di Montevecchio e patron di Sedda Moddizzis così come agli enologi Zedda di Tiana –, ecco, come s’è accennato, la scuola salesiana (e lo scoutismo) dell’infanzia ed adolescenza – la seconda e terza media e gli altri anni del ginnasio a Cagliari, la prima ad Arborea! -, in una stagione storica – quella del regime fascista e durante la Seconda guerra mondiale – in cui, secondo modalità forse parziali ma comunque apprezzabili, la didattica religiosa sapeva proteggere i ragazzi dall’adescamento mentale prima ancora che civile da parte della dittatura. Il riferimento scolastico ai padri della civiltà cristiana, così presenti nei corsi di lezione e dati come esempi anche nella libera socialità degli studenti, aveva inciso profondamente in un indirizzo di vita consolidatosi progressivamente, così ancora nel passaggio di decennio e lungo gli anni ’50 delle sue prime prove professionali. Andrebbe aggiunto che un rinforzo “identitario” in vista delle future stagioni di vita – in cui mai la professione distoglierà da un impianto ideale definitosi in un raggio parrocchiale – viene, alla fine della guerra e perciò negli anni del liceo e della maturità dettorina (non più, purtroppo, sotto l’occhio interrogante di Dante sentinella rovesciata dagli eventi), dalla continuata frequentazione degli spazi dell’oratorio, tanto quelli organizzati dal salesiano don Giulio Reali (prossimo parroco fondatore di San Paolo, nella congiunzione del quartiere di San Benedetto con quello della Fonsarda) quanto quelli, nel quartiere storico della Marina, allestiti sopra le meste macerie belliche dal non meno mitico dottor Mario Floris a Sant’Eulalia.
E allora qui bisognerebbe dire di qualche traccia – o più che traccia – presente nella bibliografia (in quanto riflesso di biografia) di Paolo Fadda relativamente alla pedagogia religiosa, ora quella “feriale”, specificamente salesiana (associata alla scuola), ora quella “festiva” dispensata attraverso le più complesse arti ludiche e catechistiche nella storica e magna parrocchia intitolata alla martire barcellonese (allora – anni ’30 – affidata al presidente della Collegiata dottor Amedeo Loi ed ai suoi vice don Gio.Maria Piu e don Giacinto Macis, ma forte anche delle sinergie con la filiale di Sant’Antonio abate, nella via Manno, affidata a don Federico Loi e con le animazioni delle meravigliose chiese del Santo Sepolcro e di Sant’Agostino, nonché con quelle dei santuari degli osservanti di Santa Rosalia/San Salvatore da Horta e dei paolotti di San Francesco in via Roma, e sicura in sovrappiù dei soccorsi educativi e caritativi prestati dalle vincenziane dell’Asilo della Marina come di quelli oranti delle claustrali, segrete cappuccine della Vergine della Pietà). Alla centenaria presenza salesiana a Cagliari egli avrebbe offerto un corposo contributo di cinquanta pagine, insieme di studio e di testimonianza (appunto per la personale partecipazione alla scuola e alla “famiglia” religiosa), nel volume uscito nel 2014 in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria cagliaritana al rettore maggiore, oggi cardinale, don Ángel Fernández Artime: Un secolo con don Bosco a Cagliari.
Allievo salesiano negli anni della dittatura
Superati gli ottanta e in viaggio per i novanta, l’ex allievo salesiano portatore di «un plus che non scompare, che non si dimentica» ritornerà infatti, con la memoria, agli anni trascorsi in collegio, alla «fraternità rispettosa maturata con i superiori», alla «lietezza dei giorni trascorsi in un ambiente sereno» tanto da pareggiare le… competizioni con l’«ostico greco di Senofonte», o con il «ginepraio di certe costruzioni sintattiche del latino od i teoremi di Talete» alle «belle gite scoutistiche», alle «accese partite di calcio» ed alle «esperienze filodrammatiche con cui si consumavano giornate indimenticabili». L’Oratorio di pedagogia “preventiva” sostenuto anch’esso, come la scuola, da molti benefattori e premiato dalla raggiunta parificazione delle classi ginnasiali, mischia i ragazzi di ceti diversi e di diverse provenienze… anticipando i sapori della democrazia che si gusteranno però soltanto dopo la spaventosa crisi bellica.
E con la scuola e l’oratorio torna infatti, nella memoria, il drammatico crepuscolo della dittatura e, con esso, tornano le immagini dei «cumuli di macerie polverose» con l’«odore acre di morte» della guerra. La città distrutta avvertiva che «quel fascismo non sarebbe stato eterno, come il sole o la luna», come invece sosteneva qualche capo manipolo della GIL. I giornaletti del regime insistevano «ad irridere Re Giorgetto d’Inghilterra e il ministro Ciurcillone», nonostante i successi della perfida Albione a capo Matapan ed a Tobruk. «Le mie preferenze andarono allora – confessa l’ex allievo – a quei vecchi album d’avventure, made in USA ma italianizzati dall’editore Nerbini, quelli di Cino e Franco, di Gordon e di Mandrake. «Anche a Cagliari, per la verità, – ecco il passaggio dall’individuale al collettivo – era cominciato ad emergere, in quei giorni, un certo malumore, un distacco dalla compattezza predicata e richiesta da gerarchi e gerarchetti del PNF… Era stata la guerra, con quegli andamenti negativi che avevano messo in luce l’impreparazione delle nostre forze armate (sul nostro cielo volavano i nostri caccia CR 42 a doppia ala a fronteggiare gli “spitfire” dell’aviazione inglese, e sui mari si subivano le drammatiche intercettazioni con i conseguenti affondamenti per via di quei “radar” a cui i nostri generali non avevano voluto credere), ad aprire delle ampie brecce sul consenso al fascismo e sul morale patriottico».
Ed ancora: «Anche a scuola, nella sua scuola dei salesiani, un giovane prete che insegnava latino, leggendo quel che riportavano i bollettini di guerra, già da tempo aveva trasmesso ai suoi allievi le preoccupazioni per una sconfitta sempre più vicina e, insieme, il malumore per un “governo” che pareva insensibile di fronte a tanti disastri. Che quel “vincere” che campeggiava ancora nei manifesti fosse ormai divenuto un qualcosa di irreale era nella convinzione generale; e che di quella sconfitta il fascismo ne fosse il maggiore responsabile ne era divenuta la conseguenza logica». L’annuncio dalla piccola “radio Balilla”, nella tarda serata del 25 luglio 1943, non poté dunque destare sorpresa: Sua Maestà il Re Imperatore aveva accettato le dimissioni del cavalier Benito Mussolini nominando al suo posto il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio: «Era la fine del fascismo, d’un regime, e […] una inattesa scissione di quella simbiosi “Patria-fascismo”» sulla quale era malamente cresciuta una generazione…
Conclusione d’un rapido ripasso di memoria, consegnato questa volta alle dense pagine di L’amico di uomini potenti (2016): «L’insegnamento di don Giulio, che era il docente d’italiano, aiuterà proprio chi scrive a depurarsi – questo è il termine più appropriato – dai residui fumi della retorica del regime fascista ed a capire – questo sì che sarà per lui decisivo – il significato autentico del termine “democrazia”. Inoltre, lo porterà ad amare un poeta come Rainer Maria Rilke, proprio per l’esser stato chiamato a commentare, con un tema in classe, dei versi di una sua poesia che poi l’avrebbero accompagnato per sempre, come straordinaria lezione di vita: Sii paziente verso tutto ciò che è irrisolto nel tuo cuore e… cerca di amare le domande, che sono simili a stanze chiuse… Non cercare ora le risposte che non possono esserti date poiché non saresti capace di convivere con esse… Di quell’insegnamento avrebbe avuto poi modo di verificare, nei diversi incroci della vita, la grande verità».
Prossime pagine “di Chiesa”
Non ad un salesiano ma ad un vescovo che nella prima terra evangelizzata proprio dai salesiani in Sardegna – l’Ogliastra cioè – svolse il suo fecondissimo ministero, Fadda avrebbe dedicato un suo toccante articolo apparso nella primavera 2018 su Sardiniapost Magazine, testata in cui per oltre un anno, fra 2016 e 2018, avrebbe tenuto la rubrica “Passato prossimo”: “Il catechismo del progresso. Monsignor Emanuele Virgilio, il vescovo che fece risorgere l’Ogliastra”. Circa Sant’Eulalia, la parrocchia… di casa, sarà nota (e notevole per quantità e qualità) l’attiva partecipazione del Nostro alle iniziative assunte, nel 2010, dalla comunità laicale in… accesa dialettica con l’arcivescovo Mani ed in difesa della pastorale di don Mario Cugusi, trasferito d’imperio (e punizione per “schiena dritta”) dopo tre fruttuosi decenni di parrocato segnati da iniziative culturali e sociali, di lato a quelle strettamente religiose, di prim’ordine fra teatro e cinema e archeologia, scuola per recupero anni e scuola di prima alfabetizzazione per stranieri, museo ed oratorio interetnico.
Un paziente spulcio delle decine e decine di numeri digitali (ed uno o due cartacei) di Cresia darebbe conto come nessun’altra fonte della matura interiorità spirituale e del sentimento ecclesiale, e comunitario, del nostro commendatore. Fu, quella del 2010, una esperienza religiosa e civile ad un tempo, una raccolta di energie plurime (per partecipanti e per assortimento) – con Fadda decano del consiglio pastorale come riferimento – che parve scuotere, e animare, l’intera Chiesa diocesana e cittadina, nel passaggio fra i primi due decenni del secolo nuovo, restituendo soggettività al cosiddetto “popolo fedele” finalmente emancipato dalla sua tranquilla (ma deresponsabilizzata) passività ed obbedienza al padronato clericale (s’intende della casta clericale).
Sia consentito qui, soltanto per pura connessione tematica, un riferimento ad altre e più generali trattazioni di storia religiosa, remota o recente non importa, entrate negli interessi e nel repertorio pubblicistico del nostro caro e compianto personaggio (e poliedrico autore).
Evocherò qui, peraltro, soltanto pochi titoli e tutti concentrati nella corposa collaborazione offerta alla terza pagina de La Nuova Sardegna nel triennio 1979-1981, che è anche tempo di declino e, per altri sorprendenti aspetti, di rinascita del cattolicesimo nazionale (e sardo) e dei continenti: si pensi all’inizio del pontificato di Giovanni Paolo II ed ai primi segni di decadenza, in patria, dopo il delitto Moro, della Democrazia Cristiana e dunque del troppo a lungo certificato “dogma” della unità politica dei cattolici: “Quel pretino di Caltagirone: sessant’anni fa, don Luigi Sturzo”, “La riscoperta del ‘religioso’: gli ‘antichi odori’ del cristianesimo”, “Un Papa di frontiera: il grande incontro di Wojtyla in Polonia”, “I cattolici dell’emergenza: la difficile stagione morale e politica”, “Per una storia dei cattolici sardi: riscoprire i valori della periferia” (quest’ultimo riguardante il saggio di Silvio Tramontin apparso nella rivista Civitas, fondata da Filippo Meda e diretta da Paolo Emilio Taviani). Testimonianza, questi titoli ed altri, della partecipazione non soltanto religiosa e/o culturale, ma anche sentimentale a quella matrice storica assunta dal columnist come culla della sua militanza pubblica.
Nell’infanzia anche Arborea, poi la guerra e il dopoguerra
Ne ho già accennato, ma credo che in un ricaccio biografico della ricca personalità del Nostro e nell’esplorazione dei più significativi tasselli della sua formazione non possa mancare, perché orientativi in profondità di un intero corso di vita, un certo approfondimento della stagione bellica (con il tanto di sfollamenti familiari) e di quanto contarono per lui Arborea e l’accogliente bacino di bonifica cui anche riportavano le benemerenze ingegneristiche dei fratelli Scano. Eccola dunque Arborea, o Mussolinia-Arborea, la comunità nella quale i Fadda trovarono riparo nel 1940, anche prima cioè della massiva evacuazione del capoluogo, in conseguenza dei pericoli derivanti dai sempre più frequenti spezzonamenti inglesi sull’area portuale, quella stessa in cui affacciava il borghesissimo palazzo Zedda-Piras del viale Regina Margherita. A quella specifica pagina di vita (e di formazione dell’adolescente) non sarebbe mancato un preciso e replicato riferimento in scritti ed interviste, come quando, parlandone con Alberto Medda Costella (cf. “L’Arborea della memori e l’Arborea del presente” in Fondazione Sardinia 16 febbraio 2018), poté, il commendatore, rievocare le scansioni di quella permanenza di quasi un anno, trascorsa con gli zii ed i cugini Fiorelli: occupando la villa, altrimenti disabitata, del presidente (della SBS) Dolcetta, frequentando la scuola media dei salesiani, esplorando in bicicletta il territorio e godendosi con i coetanei il mare estivo a sud di Oristano… Al provvisorio rientro a Cagliari avrebbe fatto seguito, nel 1943, il nuovo e meno dilettevole “espatrio”, stavolta a Pozzomaggiore.
Come detto, ad Arborea ed ai protagonisti del “miracoloso” ed originalissimo sviluppo del suo sistema socio-economico Paolo Fadda avrebbe dedicato, nel tempo, molti e molti studi (prova provata anch’essi di una piena consapevolezza di… personale radicata collocazione in un campo di storia sociale isolana, tale da meritare un attraversamento critico e, non certo per banale cedimento all’autobiografismo, un lascito documentario). Fra essi citerei qui “La Sardegna e l’industrialismo tra Ottocento e Novecento” (in L’identità storica di Arborea, 2004) e “Il miracolo di Arborea” (in Arborea: intrecci con la storia, 2009). E ancora, per un aspetto o per l’altro sempre però in convergenza e riportanti a consuetudini amicali e di studio “in tandem” per lunghi anni, ecco altresì “Lorenzo Del Piano, storico della contemporaneità” (in Corpi liberi. Atti L’identità storica di Arborea 2002, a cura di Erika Pes, 2005) e “Una borghesia prigioniera del passato” (in La ricerca come passione: studi in onore di Lorenzo Del Piano, 2012); ma si consideri, del professore che pur tanto aveva lasciato della storia della “repubblica” veneta in terra sarda, anche un “ritratto” delicatissimo in Sardegna Economica n. 5/2009. In tale contesto potrebbe peraltro anche inserirsi un acuto ritratto di Giulio Dolcetta “viceré… pioniere dell’industrialismo in Sardegna” (così il titolo dell’articolo in l’Almanacco di Cagliari 1990) o la recensione del volume gigante, per… giustificata soddisfazione di risultati raggiunti, Nel latte. Cinquant’anni di attività della Coop. 3.a Latte Arborea, curato dai proff. Marrocu, Masala e Mameli per i tipi della nuorese Ilisso (in Sardegna Economica n. 5-6/2007).
Con Arborea, ed oltre a quanto rappresentabile per l’apporto progettistico di Dionigi e Stanislao Scano, è – giusto rimando alla più stretta biografia personale – alla Cagliari distrutta dai bombardamenti che ritorna sovente, e inevitabilmente, il pensiero di chi, della città tanto amata, aveva conosciuto – ed era nell’età dell’infanzia – il “prima” regolato e tranquillo e – nella stagione giovanile – il “dopo” della gravosa ricostruzione e finalmente però anche dei risultati, insomma di un conquistato e generalizzato benessere e di accresciuti standard di consumo anche nelle classi popolari. Fra il molto altro richiamerei soprattutto due articoli in cui la pena del racconto intride l’oggettività delle cronache e delle descrizioni: “Campane a morto: dopo il dramma dei bombardamenti, l’avvocato cagliaritano Giuseppe Musio annunciò nel quotidiano sassarese ‘l’Isola’ la definitiva scomparsa della sua città” (in Almanacco di Cagliari 2000) e “Quando la pioggia di fuoco riaccese l’orgoglio dei cagliaritani: sessant’anni fa i tragici bombardamenti aerei su Cagliari” (in Sardegna Economica n. 2/2003).
Presso l’agora domestica, quella “spiata” nella verde età, mille volte aveva ascoltato, Paolo, le conversazioni dei grandi, e sempre si trattava, di lato alle questioni più private, di imprese e progetti, di risanamenti e nuove industrie, di colture ed organizzazioni del lavoro… Molto, se non tutto, degli interessi economici e sociali di largo spettro di cui sentiva discutere in casa gli divenne progressivamente accessibile e consueto, e quanto poi avrebbe esitato sui giornali sarebbe stato, certamente, risultato di ricerca e di studio, ma sulla base di quelle nozioni orientative acquisite nell’ascolto curioso e disciplinato della bella stagione. Ecco così un articolo venuto a spiegare, mezzo secolo dopo, quel che si compiva in città (e in provincia)… appunto nella bella stagione (dell’età, non della dittatura ovviamente): “W la fabbrica!: l’industria a Cagliari tra le due guerre” (in l’Almanacco di Cagliari 1989), ma ecco anche quanto, di quel tempo e di quello immediatamente successivo e nel dopoguerra, aveva meglio potuto conoscere: “Una rassicurante voce di libertà ma anche di straordinaria modernità: il 3 ottobre 1943 nasceva a Bortigali Radio Sardegna” e “La lira con i quattro mori: nel 1944 in Sardegna prese corpo l’ipotesi di emettere una moneta con valore diverso rispetto alla penisola” (in Sardegna Economica n. 4/2003 e in Sardegna Fieristica 2000), ed anche “L’ ERLAAS deve essere ricordata dai sardi come esempio di sapiente organizzazione: a sessant’anni dalla vittoriosa campagna antianofelica” e “Due insolite e curiose candidature in un’accesa campagna elettorale: a sessant’anni dalle prime elezioni politiche del dopoguerra [aprile 1948]” (in Sardegna Economica rispettivamente numeri 5 e 2/2008).
Un’autocertificazione di identità
Mi concedo a questo punto, e ripensando alle molte tappe di una vita tanto “piena di cose” quanto “piena di senso di responsabilità”, una breve parentesi che anticipa la conclusione, o quasi conclusione, di un certo itinerario seguito con esemplari autodisciplina ed inventiva (intendo apporto di un valore aggiunto) dal commendatore al quale mille volte, anche nella distanza politica, mi sono affiancato: riferisco cioè una definizione sintetica che egli, in quanto “uomo pubblico” (ma in perfetta coerente replica dell’uomo privato), dette di sé appena sei anni fa, nel 2018, in occasione del rinnovo elettorale per la presidenza della Regione sarda e del Consiglio comunale, e tanti anni dopo che la “rivoluzione” berlusconiana aveva intaccato attraverso il bipolarismo ed il leaderismo, oltreché certo costume pubblico, anche i meccanismi e la stretta prassi istituzionale). Questa: «la mia storia politica non è mai stata nei partiti della sinistra – comunisti o socialisti che fossero – avendo avuto per circa mezzo secolo un’unica tessera di partito, quella della Democrazia cristiana, versione morotea.
Mi sono quindi sentito sempre un progressista, cioè un uomo impegnato, nella politica come nelle attività professionali, nel dover costruire e diffondere, sull’insegnamento di Moro, progresso e giustizia sociale e non certo a conservare storici privilegi, di casta come di corporazioni» (cf. “Opporsi al sardoleghismo è necessario, ma siamo certi che Massimo Zedda sia l’argine adeguato?”, in Il Risveglio della Sardegna, 21 dicembre 2018). In più occasioni – non numerose invero – avrebbe trattato, il commendatore, questa specifica materia politica, fra memorialistica o autobiografia per testimonianza e proposta intellettuale insaporita di idealità o ispirazione religiosa. Cito al riguardo il suo breve saggio del 1979 – anno tre volte elettorale, per il rinnovo delle Camere, del Consiglio regionale e, per la prima volta a suffragio universale, del Parlamento europeo – dal titolo Per una iniziativa politica dei democratici cristiani cagliaritani.
L’esordio professionale a Sassari
Amante degli studi, che sa coltivare pur nel cumularsi delle opportunità professionali che le “entrature” paterne e le fascinazioni avite gli offrono e che gradisce come strada per accelerare la sua emancipazione di “adulto autonomo”, tanto orgoglioso portatore di una storia di famiglia quanto infebbrato da una aspettativa di affermazione per talento proprio e non per… presentazione di altri, eccolo dunque, Paolo Fadda, poco più che ventenne, dividersi fra studi coltivati per gusto (il gusto di sapere) e l’esordio professionale di fianco al padre e allo zio (marito della sorella del padre) ing. Tommaso Fiorelli, partner di una nuova società commerciale di forniture elettriche e presto concessionaria della Innocenti. Così al tempo del lancio di motoscooter “Lambretta” prodotto negli stabilimenti del quartiere Lambrate di Milano e che grandissimo successo avrà nell’Italia impegnata nella sua ricostruzione postbellica, con una crescente e obbligata mobilità urbana della popolazione, comprese le maestranze operaie di basso reddito.
L’ing. Luigi Fadda con i figli Antonello e appunto Paolo, ha promosso nel 1947, a Cagliari, l’accomandita semplice IN.CO.SA. (Società Industriale Commerciale Sarda) che si salderà poi al nome del primogenito… Un apprendistato prezioso per il Nostro, presto “dirottato” verso altre e più impegnative occupazioni, con maggior autonomia e responsabilità personale. Il primo “salto” qualitativo sul piano strettamente professionale, ma con evidenti ed inevitabili riflessi su altre dimensioni personali, è appunto quello – protrattosi per circa un lustro, a partire dal 1954 – del trasferimento a Sassari per la conduzione della locale filiale della concessionaria. Per almeno due motivi può dirsi che l’esperienza sassarese è capitale per il futuro di Paolo Fadda. Il primo, perché, in quanto interno al movimento cattolico organizzato e interessato alla politica, nel capoluogo turritano egli fa la conoscenza diretta di molte delle figure che nella storia democristiana (non soltanto isolana) avranno un posto di rilievo, da Francesco Cossiga a Pietro Soddu, da Paolo Dettori a Nino Giagu De Martini, ad altri ancora: press’a poco suoi coetanei, essi segneranno intanto le vicende della DC provinciale (e poi regionale) dando corpo, nel 1956, alla rivolta dei cosiddetti “giovani turchi” propostisi come ricambio generazionale e politico dei vecchi capi del popolarismo con Antonio Segni leader indiscusso.
Il secondo, perché, talvolta in compagnia di qualcuno dei nuovi amici del “progressismo” cattolico/democristiano e con uomini (giovani anch’essi e coetanei) come Manlio Brigaglia e Franco Luigi Satta, ha modo di frequentare la redazione del settimanale La Gazzetta Sarda pubblicato, per le uscite del lunedì (data la mancanza del settimo numero de La Nuova Sardegna), da Sebastiano Pani, patron del granturismo sardo per svariati decenni. Allora egli affina una certa nativa propensione alla scrittura giornalistica, ad iniziare dallo sport. Un rodaggio che darà i suoi frutti ben presto, quando cioè Fabio Maria Crivelli, nuovo direttore de L’Unione Sarda, intendendo espandere anche nel Sassarese la vendita del suo quotidiano, rafforza la redazione cittadina e promuove nuove collaborazioni pescandole in primis fra i giovani de La Gazzetta.
A Cagliari immerso nella DC
Il rientro a Cagliari significa, da una parte, un rinnovato impegno nelle aziende di famiglia, ed in particolare nella Simauto – società per l’industria meccanica automobilistica, S.i.m. Auto srl –, fondata proprio nel 1960, ma anche, più o meno direttamente o con il fratello e/o come “spalla” del padre Luigi, nell’“impero” di quest’ultimo che si è intanto articolato in numerose società (il cui processo costitutivo è/sarà di lunghi anni, comprendendo, oltre l’IN.CO.SA., l’I.R.C. Imprese Riunite Costruzioni, la Società Italiana per le condotte d’acqua, la Cagliarimotori, ecc.), e dall’altra una maggiore immersione nelle attività politiche della Democrazia Cristiana tanto più a livello cittadino e provinciale. E’ da qui al 1964 quell’altro salto che lo porta in Consiglio comunale, nel palazzo che sarà intitolato ad Ottone Bacaredda, ed alle funzioni di capogruppo della DC, il partito ancora vincitore del turno elettorale fissato a fine novembre di quell’anno: 23 democristiani, otto comunisti, sei liberali, quattro missini, tre socialisti, due socialdemocratici, altrettanti sardisti, un monarchico ed un socialista dissidente (poi socialproletario). L’alleanza di centro-sinistra presto formalizzatasi poggerà su una maggioranza di 30 consiglieri e andrà in ricambio di quella centrista ormai, e da un decennio circa, consolidatasi tanto più nelle forme del monocolore scudocrociato appoggiato dall’esterno da alcune delle forze del centro laico e/o della destra.
Da ormai quattro anni è sindaco di Cagliari il professor Giuseppe Brotzu, illustre scienziato e già rettore dell’università (nei tempi della mala dittatura) nonché presidente della Regione (a capo di una serie di monocolori appoggiati da monarchici e missini) dal 1955 al 1958. L’evoluzione politica nazionale e regionale che volge verso l’apertura ai socialisti (con il contestuale abbandono dei liberali), smuove gli stanchi equilibri politici anche del capoluogo e Fadda (anche per i trascorsi amicali con i “giovani turchi” sassaresi) è uno dei più convinti, all’interno della DC, a favore della svolta. Per quasi tre anni è ancora Brotzu a guidare l’Amministrazione civica cagliaritana ma ora in “blocco riformatore”, dal 1967 tocca poi a Paolo De Magistris che può contare stabilmente sulla lealtà politica del suo capogruppo (ed è capace di superare, nel triennio che lo porta al rinnovo elettorale del 1970, le inevitabili procelle connesse anche alle gare delle urne politiche e regionali rispettivamente del 1968 e del 1969).
Delle dinamiche interne al partito di maggioranza relativa e, di riflesso e per conseguenza, nella municipalità della maggior città sarda il Nostro lascia abbondanti tracce in diversi suoi libri (da C’era una volta in Sardegna la DC a L’amico di uomini potenti, fra i quali è, in primo luogo, Francesco Cossiga). Altra testimonianza – ma testimonianza di un protagonista – egli la consegna in… presa diretta alla stampa, attraverso interventi nelle “tribune libere” oltre che nei commenti alle cronache delle discussioni in capo alla rappresentanza e in specie al Consiglio comunale.
Valga, fra il molto altro, il seguente passaggio tratto da C’era una volta in Sardegna la DC. Tesi per una storia critica della Democrazia Cristiana sarda, uscito nel 2008: «Ai pionieri del gruppo sassarese di Cossiga s’erano poi uniti – anche se su posizioni non del tutto omogenee – i giovani cagliaritani guidati da Ernesto Dessì e Lello Picciau […] e diversi giovani provenienti dalla Fuci, dai laureati cattolici e dalle Acli. Tutti vicini, culturalmente, all’insegnamento di Dossetti e di Moro, e quindi aperti verso un progresso sociale (nelle alleanze e nell’azione politica). Nel reclutamento avevano trovato una sponda in quegli ambienti emergenti nel mondo cattolico, nei circoli e nelle organizzazioni ecclesiali per via di un laicato ora più aperto verso il mondo esterno, oltre che più autonomo nei confronti della gerarchia. «Vi è comunque da tener presente che, nonostante il loro impegno, non sarebbero riusciti a ribaltare il potere interno del partito in provincia, per via della forte presenza, nel tesseramento, di quel gruppo clerico-moderato che faceva capo a personalità di rilievo, come quelle di Raffaele Garzia e di Giuseppe Brotzu (oltre alla presenza di un politico dal forte potere, carismatico e clientelare, come il deputato Antonio Maxia). «Forse, c’era in questi due raggruppamenti una base comune, pur nelle opposte concezioni dell’agire politico: li avrebbe uniti, infatti, una spiccata idiosincrasia […] per il gruppo sassarese e, soprattutto, per quell’egemonia messa in atto nelle scelte e nel potere regionale.
«Sarà poi un’iniziativa, di cui pare fosse stato autore il “turco” Nino Giagu-De Martini, a modificare – a metà di quegli anni Sessanta – gli equilibri interni della DC cagliaritana. Ne sarà protagonista il romano Carlo Molè, potente capo della segreteria della presidenza di quell’Ente di riforma agraria (ETFAS), accusato d’essere […] una sorta di centro di potere per i “giovani turchi”. Sarà proprio Molè a reclutare – immettendoli nell’organico di quell’ente – alcuni fra gli emergenti giovani del partito, da Pinuccio Serra ad Angelo Becciu, da Leonardo Tronci a Lucio Artizzu. E soprattutto ad accerchiare il gruppo Garzia stabilendo alleanze, più o meno organiche, con il gruppo oristanese di Lucio Abis e con quello sulcitano di Giovanni M. Lai. Quelle sue operazioni […] avrebbero trovato una positiva conclusione nella conquista della maggioranza nel comitato provinciale, con la sconfitta del gruppo Garzia (che peraltro avrebbe continuato a mantenere una forte incidenza sul piano elettorale)».
Con 1.218 preferenze personali – neppure dunque fra i più votati della lista scudocrociata – sul giovane (34enne) Paolo Fadda si riversano i consensi dei colleghi di gruppo, molti dei quali saranno protagonisti, nel corso dei successivi 20 e 30 anni, della vita politica e amministrativa del capoluogo, taluno – come Paolo De Magistris, Eudoro Fanti, Franco Murtas, Mario De Sotgiu – perfino destinato alla sindacatura.
Come ho accennato, dal 1964 e in progress negli anni, Paolo Fadda accompagna la sua attività di partito e come capogruppo consiliare al Comune di Cagliari con una intensa attività pubblicistica che sarebbe interessante ricacciare e riordinare tematicamente nei singoli episodi e collegandola al processo evolutivo della politica sarda (e cittadina) tanto più segnato, lungo gli anni ’60, dalle prime attuazioni del Piano di rinascita. Ecco alcuni titoli di questi articoli apparsi, al tempo, su L’Unione Sarda: “Cagliari città-guida” e “Pericolosi errori sulle vie dell’industria”, rispettivamente del 20 novembre e 20 dicembre 1964; “La strada giusta: per l’industrializzazione della Sardegna”, “La svolta in Sardegna” (proprio sull’avvento del centro-sinistra in municipio ancora a presidenza Brotzu), “Democrazia o demagogia?”, “La paura delle ombre”, “Tramonto dei notabili”, “La seconda autonomia”, “I nuovi compiti degli enti locali”, rispettivamente del 21 e 31 gennaio, 16 e 19 marzo, 25 aprile, 26 maggio e 25 giugno 1965; “La polemica sul Golfo”, “Bisogna salvare i nostri comuni: una riforma fondamentale” e “Il vero senso dell’autonomia”, rispettivamente del 29 giugno, 15 luglio e 15 novembre 1966… E ancora l’editoriale del 30 marzo 1968 (in vista del rinnovo delle Camere), “Due temi per una scelta” (circa l’influenza conciliare e postconciliare sulla DC che si sarebbe voluto riportare a certe presunte virtù dell’originario popolarismo e circa l’ispirazione autonomistica dei cattolici politici nel concreto impegnati nelle scelte della Rinascita); d’interesse tutto locale (ma con evidenti ricadute regionali), “Problema della città” riferito alla grave questione della edilizia universitaria, uscito in cronaca il 25 aprile dello stesso anno.
Una pubblica riflessione negli anni della Rinascita
Fra il molto pubblicato nel periodo mi sembra particolarmente significativa – anche perché in accompagno alla candidatura che egli presenta alle amministrative in programma, come detto, per novembre – la lettera-articolo “Perché Cagliari ha bisogno di nuove leve politiche”, uscita il 14 ottobre 1964. Nel sommario: “Si allarga la frattura fra la vita politica e il mondo del lavoro; Molti dei giovani più dotati sono costretti a mettere a frutto fuori dell’isola le loro capacità”. Significativo il distico con cui il direttore Crivelli – stimatissimo da Fadda che lo ricorderà anche, nel 2009, alla morte cioè, in un magnifico articolo uscito in Sardegna Economica – presenta il contributo da inserire nel dibattito aperto dal giornale «su un problema fondamentale: [quello] della formazione della classe dirigente sarda [che] si è andato aggravando negli ultimi anni, sia per i criteri non sempre accettabili che hanno presieduto e ancora presiedono alla distribuzione degli incarichi di maggiore responsabilità, sia per la tendenza di molti giovani a evadere da un ambiente che, del resto, non offre loro se non anguste prospettive. «Paolo Fadda, un giovane industriale cagliaritano, nella lettera che qui pubblichiamo fa un lucido esame di questo stato di cose, che non è privo di conseguenze per la vita dell’isola».
(Ho riportato integralmente lo scritto nel mio articolo “Patriarca 92. Lucidità analitica e propositiva: il permanente dono di Paolo Fadda alla sua Cagliari. Una sua lettera del 1964 a Fabio Maria Crivelli” uscito sulla piattaforma Giornalia.com il 29 marzo 2022 e che il commendatore, in una missiva privata a me inviata, così volle affettuosamente chiosare: «Carissimo, con un forte abbraccio desidero rafforzare il mio affettuosissimo grazie per gli auguri che ho molto molto gradito perché rafforzano ancor più la nostra amicizia. Debbo però aggiungervi un altro affettuoso ringraziamento per avermi riaperto, con il suo articolo, un dimenticato cassetto della memoria: ed il mio grazie si moltiplica quindi per mille! (i vecchi, d’altra parte, vivono del passato che è il tempo a loro consentito da Domineddio). Affettuosamente – P.S. grazie al buon Dio la mia salute è (abbastanza) buona, anche se non mi consente altro che una clausura casalinga»).
Con la solita e imprescindibile premessa che nel lavoro amministrativo, dato lo scarto fra il momento politico “decisionale” e quello tecnico “attuativo”, sia pressoché sempre impossibile (e ingiusto) attribuire, per certo, meriti e demeriti alle varie giunte o maggioranze titolari dei programmi di grande edilizia entrati nel giudizio della cittadinanza, andrebbe ricordato che, marcatamente nei secondi anni ’60, cominciò a prendere attuazione, a Cagliari, il cosiddetto “piano Mandolesi”, regolatore della nuova urbanistica, sia residenziale che viaria, del capoluogo e trovarono avvio d’attuazione importanti infrastrutture destinate ad arricchire (e abbellire) la città, assegnandole anche un più razionale e autorevole ruolo di città-regione. Si pensi ai grandi cantieri, nei poli opposti della pianta urbana, finalizzati alla cittadella sanitaria (Oncologico, Microcitemico, San Michele) ed allo stadio Sant’Elia (entrato in funzione dopo lo scudetto del 1970), si pensi alle nuove (e intensive) edificazioni nei quartieri popolari di Is Mirrionis e soprattutto San Michele, al nuovo quartiere del CEP, ai completamenti residenziali della Fonsarda, a quelli di Monte Urpinu, ed ancora a quelli dell’area di via della Pineta e di via Generale Cagna, e più oltre verso La Palma e S’Arrulloni/quartiere del Sole in direzione del Poetto, ma si pensi anche alle grandi opere pubbliche di arredo ed abbellimento come la piantumazione della piana di su Siccu o la via “aerea” di Monte Urpinu, funzionali alla pedonalità, come la scalinata di Bonaria, ecc.
Superata la prova elettorale e svolto quasi per intero il mandato di capogruppo consiliare, ecco che – come prova delle consapevolezze politiche apertamente dichiarate, e in Consiglio comunale e sulla stampa, su “Cagliari città-guida” – Fadda conferma e argomenta con l’“avversario” Aldo Cesaraccio, redattore capo (e prossimo direttore) de La Nuova Sardegna, le ragioni per le quali Cagliari (e non per rivalità verso Sassari) rivendichi il suo ruolo. Lo fa inviando a Cesaraccio-Frumentario, che firma ogni giorno la rubrica (di pura… sassareseria) “Al caffè”, il testo del suo discorso tenuto il 1° luglio 1969 nell’aula consiliare del capoluogo regionale e rammaricandosi che, a distanza ormai di vent’anni dall’esordio dell’autonomia speciale, sia rilanciata dal quotidiano sassarese l’annosa, secolare questione del primato, o chiamala pure la «la faida dei campanili». «I problemi di Cagliari sono quelli dell’intera Isola; e quelli della Sardegna, indipendentemente dal campanile da cui prendono ombra, sono i problemi di Cagliari» sostiene il consigliere capogruppo al quale il suo contraddittore obietta, con una lettura invero ristretta della economia isolana vista nelle sue particolarità invece che in quanto sistema, come «Il porto terminale delle navi-contenitori […] potrà essere un beneficio per Cagliari, ma non dice nulla, assolutamente nulla, al progresso economico dell’intera Isola; tuttavia per la sua attuazione (se ci sarà) si dovrà attingere a fondi comuni in una misura tale da far legittimamente temere che vi siano sacrificati altri interessi delle zone interne, portuali e non».
Una polemica pungente eppure educata, cortese, fra le due parti, evidenza di un costume di sana civiltà dialettica fra soggetti portatori ciascuno di esperienze, visioni ed anche legittimi interessi opposti, o all’apparenza (e soltanto all’apparenza) opposti. E tutto comunque è rivelatore di quanto entra nel dibattito pubblico sardo della fine degli anni ’60, quando della politica di Rinascita è già superato il rodaggio e si va con decisione (ma anche con contrasti) per piani esecutivi quinquennali. (Ed al proposito non si manchi di considerare, quale raccolta di preziose analisi ricostruttive dei passaggi vissuti dall’Isola dalla fine della guerra al varo proprio della legge di Rinascita – la famosa 588 del 1962 – come prima attuazione della nuova linea riformatrice del centro-sinistra il saggio, il saggio a firma Fadda, Economia e politica negli anni dell’autonomia: la borghesia industriale sarda tra Ricostruzione e Rinascita (1944-1960), uscito nel 1999 a cura della Camera di commercio cagliaritana).
Arrivano i consigli d’amministrazione pubblici: all’Università…
E intanto, per l’ancora giovane commendatore della Repubblica, cominciano ad arrivare, propiziati naturalmente dai suoi ruoli politici, i primi incarichi pubblici, in enti ed amministrazioni a controllo o partecipazione ora della Regione ora della Provincia o dello stesso Municipio. Del 1968 è la sua indicazione al Consiglio d’amministrazione del Banco di Sardegna, che per lui sarà “posto fisso” per due interi decenni (fino al 1988), con proiezione anche nel Consiglio della SFIRS, la nuova finanziaria della Regione sarda; e in quanto rappresentante del Banco di Sardegna egli ha presto, in questo stesso torno di tempo, una poltrona anche nel Consiglio d’amministrazione dell’Università, mandato che terrà sotto i rettorati Aymerich e Casula, vale a dire dalla metà degli anni ’70 al 1991. Si dica adesso dell’Università. Al 2003 risale la sua partecipazione al sodalizio con il giornalista Giorgio Pisano volto ad esplorare passato, presente e futuro dell’ateneo cagliaritano, ora al suo quarto secolo di vita: Calaritana. L’università di Cagliari tra storia e domani è il titolo di uno studio molto accurato e sul versante storico e su quello dell’attualità o delle prospettive, ricco anche di un apparato fotografico (curato da Daniela Zedda) che lo rende potenzialmente meglio apprezzabile dal vasto pubblico degli attesi lettori, incluso proprio quello studentesco.
Sempre in sospensione fra storia e attualità è, dello stesso anno, l’articolo “Ieri letterati e legulei, oggi gli scienziati: data la netta prevalenza degli studi umanistici, l’Università di Cagliari rimase per lungo tempo estranea alle esigenze reali della società sarda, un panorama radicalmente mutato nel corso dell’ultimo trentennio” (in Almanacco di Cagliari 2003), e di pochi anni successivi quell’altro, non meno dettagliato nel suo notiziario, “Quattro secoli di incomprensioni e di silenzi fra un ateneo ed una città separati in casa: una riflessione sulle vicende storiche dell’Università di Cagliari” (in Sardegna Economica n. 1-2-3/2007).
Consigliere del Banco, il credito come ossigeno dell’economia
A voler cercare, e immancabilmente trovare! un accompagnamento ora pubblicistico ora perfino saggistico delle diverse esperienze amministrativo-manageriali di Paolo Fadda, certo si troverebbero riscontri abbondanti ceduti una volta alla bibliografia consegnata ai solenni scaffali di qualche facoltà universitaria o luogo di studio ed un’altra al più light (?) regesto di testate periodiche di larga o meno larga diffusione. E a dire specificamente di banche, o di Banco di Sardegna, ricorderei innanzitutto un titolo – “La città in fondo alla discesa” – contenuto in Trent’anni. Cagliari: la Banca, la Città, pubblicato appunto dal… sassarese Banco di Sardegna in occasione del trentennale della apertura dei suoi primi sportelli cagliaritani.
Lasciando da parte, per adesso, i libri, e certamente restando lontano da ogni ipotizzata (ma impossibile?) esaustività, si potrebbe azzardare il richiamo a taluno dei suoi contributi “sparsi” relativi alla materia, ricavando da questi una efficace rappresentazione diacronica e complessiva del sistema socio-economico regionale sardo, ma anche, sul piano puramente soggettivo dell’autore, la prova ennesima della sua santa “curiosità” indagatrice fra le mille pieghe della nostra storia, appunto, sociale ed economica. Eccoli così, sempre in misurata rappresentanza, e partendo proprio dalla sua esperienza di “banchiere”, i titoli di alcuni degli articoli apparsi, riguardo al sistema creditizio, nell’ultimo cinquantennio: “Le banche sarde nella prima metà del ‘900” (in Sardegna Economica n. 4/2009), “Binario privatizzato: nei primi anni trenta la Banca Commerciale elaborò un progetto per riunire sotto il suo controllo tutte le linee ferroviarie sarde” (in Sardegna Fieristica 1994), “Le banche dopo la bufera: credito e sviluppo economico” (dopo il fallimento SIR, in La Nuova Sardegna, 15 novembre 1980)… e guardando ai profili anche umani e politici oltreché professionali delle dirigenze bancarie sarde del tempo remoto così come della più recente temperie novecentista a ridosso della dittatura e della ricostruzione postbellica, “Ghiani Mameli, la caduta di un re” e “Stefano Siglienti banchiere sardista” (in Sardiniapost Magazine, rispettivamente n. 9/2017 e n. 15/2018). E così ancora, allargando la prospettiva al nazionale, “Le banche non sono un corpo di polizia: l’acuta morale del governatore della Banca d’Italia al paese” (in La Nuova Sardegna, 21 giugno 1979) o magari calando il nazionale nel regionale, “La Casana – speciale Sardegna” (periodico della CaRiGe recensito in Sardegna economica n. 5/2000).
Resta fuori da questo cenno di repertorio tutto quanto faccia stretto riferimento al credito agrario, sul quale opportunamente si sofferma, con editoriali e servizi speciali Agricoltura Informazioni, il periodico prodotto dal Banco di Sardegna la cui direzione è opportunamente commessa al consigliere d’amministrazione. Si ricordino, fra gli altri, i seguenti titoli riguardanti sia gli aspetti istituzionali e/o ordinamentali sia quelli operativi delle istruttorie e delle erogazioni: “Nuovi orizzonti e nuove prospettive per il credito agrario”, “Migliorarne l’efficienza: in tema di Casse comunali”, “Banchieri e politici, ruoli diversi per un fine comune: considerazioni sul convegno di studio del Banco di Sardegna sul ‘Credito e autonomie regionali’”, “Cambiare per rinnovare: in tema di credito agrario”, “Banche e sviluppo: un discorso di attualità”, “Il Banco di Sardegna diventerà una Spa?: la privatizzazione degli istituti di credito”… articoli tutti usciti fra il 1978 e il 1981…
Presidente dell’Ente Minerario Sardo
Del 1969 e della durata di un lustro è la presidenza dell’Ente Minerario Sardo, la holding regionale di recente costituita per coordinare le politiche estrattive dell’Isola. Una esperienza amministrativa e manageriale che ancor più sarà foriera, nel nostro commendatore, di interessi che andranno oltre i bilanci economico-patrimoniali o finanziari del momento, attivando, in lui un vero e proprio “amore” a quel mondo delle gallerie che, per un secolo e più, aveva internazionalizzato tanta parte del sistema produttivo isolano e s’era rivelato, pur con tutte le sue asprezze per le condizioni di lavoro e di vita delle maestranze, una formidabile spinta alla mobilità della forza-lavoro (bracciantile) infraisolana passata dalle ingenerosità dell’agricoltura di sussistenza alle speranze dell’industria moderna o in via di progressiva tecnologizzazione. Da qui verranno – a dir sempre dei riscontri saggistici e/o pubblicistici per tema – anche diversi studi dedicati ai pionieri sardi dell’industria mineraria, da Giovanni Antonio Sanna a Giorgio Asproni jr., ad Alberto Castoldi ecc., ma anche a capitalisti nazionali ed esteri di formidabile impatto sulle economie dell’Iglesiente o del Guspinese/Arburese, come Enrico Serpieri, Anselmo Roux o lord Thomas Alnutt Brassey.
In quanto a tracce documentarie che la presidenza Fadda lascia alle biblioteche degli studiosi di economia mineraria meriterebbe ricordare qui, curati dallo stesso Fadda, tanto la relazione tenuta al meeting sui problemi del settore estrattivo organizzato dall’EMSa nel marzo 1972 – titolo L’industria mineraria sarda: problemi e prospettive – quanto gli atti congressuali, riferiti allo stesso 1972, e rubricati sotto il titolo di Ruolo di direzione e di coordinamento degli enti pubblici nel settore minerario.
All’industria mineraria isolana, ma sempre entro larghe coordinate umanistiche ed ambientali, darà ancora nel tempo, il commendatore ormai non più presidente dell’Ente, numerosi contributi di studio, sia nei profili biografici di tanti protagonisti, sia in presentazione di lavori giuridici e, per dire l’assortimento anche tipologico e non soltanto tematico, di rassegne fotografiche di forte e gustosa incidenza estetica. Valga il caso, in quanto ai testi – l’inglese a fronte dell’italiano –, di Paesaggi e miniere della Sardegna dall’alto (Landscapes and mines of Sardinia from above), uscito nel 2011 a firma di Gianni Alvito per conto del Parco Geominerario storico ambientale della Sardegna, con sponsor Igea spa e Carbosulcis, ma si pensi altresì alla densa introduzione a Storia del diritto minerario in Sardegna: il caso Carbonia, di Carlo Panio, edito da Delfino nel 2013.
A scorrere i titoli dei pezzi impaginati tanto più nelle testate cui egli ha assicurato un sua più duratura collaborazione – da Sardegna Economica (oltre duecento gli articoli firmati o soltanto siglati e comunque certamente riconducibili a lui) a Sardiniapost Magazine, da Sardegna Fieristica all’Almanacco di Cagliari a, ancora, La Nuova Sardegna e L’Unione Sarda – ecco zampillare contributi insistenti sul tema minerario che paiono farsi ancor più frequenti in Argentaria, l’annale iglesiente della Lao Silesu uscita negli anni ’90. Come a dare soltanto un’idea della mole di questa produzione, richiamo qui una minima parte dei titoli: “Cinquemila nuovi posti di lavoro nel settore estrattivo” (in Sardegna Fieristica 1974), “La maledizione di Montevecchio: spiacevoli vicende e liti d’interesse” e “Le miniere affogate: il vecchio problema della eduzione delle acque a Monteponi” (in La Nuova Sardegna, rispettivamente del 12 e 27 dicembre 1979), “Tra metalli e minerali: l’Associazione Mineraria Sarda fu fondata ad Iglesias nel febbraio 1896” (in Almanacco di Cagliari 1994), “L’abile scippo di Montevecchio” e “Lo zinco maledetto del nonno di Modi” (in Sardiniapost Magazine, rispettivamente numeri 5/2017 e 10/2018, il secondo da leggersi in relazione anche a “Una presenza nell’isola da ricordare per la devastazione vandalica dei boschi: seguendo le tracce dei Modigliani in Sardegna”, in Sardegna Economica n. 6/2005), “Il banchiere del Papa al capezzale della Montevecchio”, “La gallina sarda dalle uova d’oro” (da intendersi la Monteponi), “I sette samurai delle miniere sulcitane nell’epopea industrialista”, “Un’epopea del lavoro nella terra delle miniere” (tutti in Argentaria, rispettivamente numeri 1/1992, 2/1993, 3/1993 e 4/1994), “L’avventura sarda dell’oro nero tra speranze, illusioni e fallimenti: iniziata centocinquant’anni fa a Bacu Abis”, “Sogni, progetti e delusioni nascosti sotto la ‘montagna di piombo’: un’avventura mineraria sarda in Tunisia nell’Ottocento”, “Un giacimento di sogni e d’insuccessi: le vicende dolci-amare del Carbonsulcis” (in Sardegna Economica, rispettivamente numeri 6/2004, 4/2005 e 1/2011)…
Gustosamente rielaborata, la materia ritorna – tale è il rilievo che l’economia mineraria esprime nel contesto industriale isolano almeno fino a tutti gli anni ’70 e così ormai da più d’un secolo – in numerosi altri interventi, e quando non è l’originalità del contributo è la riflessione che scaturisce da una lettura di biblioteca a riportare in pagina l’argomento. Valgano, per il tutto, almeno le impegnative recensioni a Sardegna: minatori e memorie, uscito a cura di Associazione Minatori Memorie, ed all’opera di Luciano Ottelli Monteponi. Storia di eventi e di uomini di una grande miniera (in Sardegna Economica, rispettivamente numeri 5/2008 e1-2/2010). Mi sembra peraltro doveroso menzionare anche un piccolo “gioiello” editoriale offertoci nel 2019, grazie a Carlo Delfino, sotto il titolo di Breve storia dell’industria mineraria in Sardegna: un libro di formato tascabile, essenziale nel racconto pur distribuito in sei capitoli e con bibliografia essenziale. Gradevole il corredo fotografico riportante diversi documenti storici e i volti di alcuni dei protagonisti dell’avventura industriale tanto più nel meridione occidentale della Sardegna.
La colta arte dei rimandi
V’è, in questi e in altri scritti consegnati alla stampa periodica come un reciproco continuo rimando, perché, come già detto, nella mente e nelle mani dello scrittore è come se scoppiasse ogni volta il fascinoso gioco dei nessi: ogni capitolo ha storia a sé, e per sé va valutato, ma contemporaneamente ha relazione con l’altro, e le biografie dei capitani d’impresa (sovente toccati dal… buon sentimento sociale, e paternalisticamente fattisi sponsor di scuole ed asili od ospedali per le famiglie dei lavoratori a libro-paga) si combinano ai report sui nuovi mercati d’esportazione dei minerali metalliferi o del carbone, oppure sull’evoluzione tecnologica di cui sono dotate, in progress, le gallerie e le lavorazioni in cui consumano la loro vita, per un salario che resta sempre infernalmente misera, migliaia di operai strappati, nella drammatica partita della sopravvivenza, alla terra improduttiva del loro paese d’origine. L’abilità dello scrittore, che s’aggiunge a quella propria dello studioso esploratore ed interprete, è appunto in questo non ripetere mai pedissequamente, replicando da una testata all’altra questo o quel soggetto, ma invece saper dare soffio di inedito, ora nella traccia espositiva ora nelle sottolineature e nella selezione e/o nell’accostamento dei particolari, al contributo firmato e di rilanciato interesse per gli aficionados del giornale o della rivista.
A dimostrazione valga il caso, fra gli innumerevoli altri, dell’articolo “C’è stata tanta Trieste nell’avventura del bacino carbonifero del Sulcis: settant’anni or sono la prima idea di Carbonia”, uscito in Sardegna Economica n. 4-5/2006, che certamente relaziona con quello, apparso su Sardegna Fieristica 1999, “Il duce costruttore: durante il ventennio fascista nella nostra isola sorsero tre nuovi agglomerati urbani: Mussolinia-Arborea, Carbonia e Fertilia” e indirettamente con altri sei o sette pezzi. Ne richiamo alcuni: con “Arborea, realtà economica di livello europeo: il 29 ottobre 1929 venne inaugurata Mussolinia di Sardegna che, caduto il fascismo, verrà chiamata col nome attuale” (in Almanacco di Cagliari 1999), le recensioni, impaginate nella rubrica “in biblioteca” della stessa Sardegna Economica, di Le città di fondazione in Sardegna, CUEC, di Aldo Lino (1999) e, del pari, Città di fondazione italiane 1928-1942, ed. Novecento, a cura di Giorgio Pellegrini (2006) nonché “Resurgo” da Mussolinia ad Arborea, vicende e iconografia della bonifica, pure esso di Giorgio Pellegrini (2001); e ancora Cagliari durante il fascismo (in Sardegna Economica n. 2-3/2009) come prima presentazione del capoluogo in vocazione, al tempo ancora tutta da verificare o sperimentare, di città-regione. Rilevano, tali vicinanze, per i focus proposti al suo lettore oltre che dall’analista economico proprio dal recensore che sa collegare, sugli ideali ripiani della sua biblioteca, soggetto con soggetto, luogo e imprese o tempi a luogo e imprese o tempi, delineando perciò una rete di rimandi che consentono di inquadrare con maggiore e felice compiutezza la pagina.
Ma direi di più: perché, nella logica dell’ “insieme”, questa “Trieste nell’avventura del bacino carbonifero del Sulcis” impatta anche per il tanto che della personalità e dell’opera di Alberto Beneduce, illuminato protagonista-principe dell’economia pubblica nel ventennio, v’è nella ricostruzione di Fadda, che all’ex ministro socialista (e massone) del governo Bonomi del 1921-22 e grand commis degli anni ’20-’40 dedica studi specifici (e in rappresentanza valga qui citare la recensione, in Sardegna Economica n. 1/2009, del volume Beneduce il finanziere di Mussolini di Mimmo Franzinelli e Marco Magnani). Ed anche per quell’altro tanto di sottaciuta biografia familiare che giustamente può, di essa, cogliersi nei richiami professionali al nonno Stanislao Scano consigliere della Carbosarda insieme con Guido Segre (triestino ebreo) ed agli ingegneri costruttori di Carbonia come Fadda padre e Tonini zio…
Singolarità d’un intellettuale-manager
Forse nessun altro, nel nostro Novecento sardo, ha saputo rappresentare, sul doppio e congiunto versante della professionalità pubblica e della pubblicistica economica, un così ampio ventaglio di competenze come Paolo Fadda. Nessun settore della gamma produttiva isolana gli è stato estraneo forse proprio grazie a quelle fondamentali orientazioni acquisite in casa, negli snodi domestici in cui genitori e nonni, zii e prozii conversando fra loro, magari scorrendo piantine geografiche e tavole di ingegneri progettisti, proiezioni di bilanci e corrispondenza con autorità ed impresari, confrontavano opinioni e intenzioni e magari anche risultati raggiunti o individuavano potenzialità da sviluppare ancora… Certamente entravano, in quei fruttuosi colloqui, anche i racconti delle esperienze e delle conoscenze personali di questo o quello e così, in quegli anni ’30 e ’40, s’affacciavano e… seminavano, con l’aura dei pionieri, i protagonisti della storia passata, i Piercy ed i Serpieri o i Pernis, e molti di coloro che avrebbero fatto, e hanno fatto, la storia della Camera di commercio e anche dell’Associazione industriale, cui il commendatore avrebbe un giorno dedicato larga porzione delle sue fatiche, appunto, storiografiche: così nelle sue ricostruzioni biografiche come in quelle delle più varie vicende aziendali, in agricoltura e nell’industria, nelle opere pubbliche e nelle miniere, nel credito e nel turismo, nell’editoria e nel vasto terziario dei servizi, dei trasporti via terra e mare e cielo…
Appunto i Pernis (“Affari, ma anche impegno pubblico e generosità: una tra le più importanti famiglie borghesi di Cagliari”) ed Enrico Serpieri (“Esule illustre: profilo del patriota riminese che divenne cagliaritano d’adozione”), ma anche Luigi Merello (“Novello re Mida: a partire dal 1872, operò a Cagliari un industriale ligure di straordinarie capacità”), raccontati in Almanacco di Cagliari rispettivamente nelle edizioni 1988, 1993 e 2002, e i presidenti, o alcuni dei presidenti della locale Camera di commercio, come Francesco Nobilioni (“Un esponente della nuova borghesia degli affari nella fertile stagione delle grandi trasformazioni”), Gaetano Rossi-Doria (“Esponente di rilievo del commercio cittadino ed attento interprete del suo risveglio economico”), Giovanni Agostino Varsi (“Assertore dello sviluppo portuale come premessa al risveglio dell’isola”) e Benvenuto Pernis (“Un geniale e coraggioso protagonista della modernizzazione dell’economia locale), biografati in Sardegna Economica, rispettivamente nei numeri 4 e 6/2000 e 2 e 5/2001, ma così anche Francesco-Franzischittu Sisini (“il pioniere dell’erpice”) e, visto sotto il profilo della predicazione socialista, Attilio Deffenu i cui profili sono presentati in Sardiniapost Magazine (numeri 13 e 14/2018).
A dir di socialismo sovviene anche la figura di Angelo Corsi, della cui missione in momenti molto diversi della storia del secolo, è traccia in almeno due distinti articoli: “Il socialista borghese”, in Argentaria n. 6/1996 e “In una Sardegna ancora più isola una guida dal DNA internazionalista: Angelo Corsi commissario della Camera dal 1943 al 1945”, in Sardegna Economica n. 3-4/2004.
I ritratti di questi e di altri protagonisti della scena pubblica, economica e professionale della Sardegna, e non soltanto del capo meridionale campidanese e cagliaritano – seppure questo sia privilegiato negli affacci proposti al lettore –, consentono quasi di scansionare, per tempi e per settore, l’evoluzione storica dell’economia territoriale i cui quadri sono anche sapientemente definiti in alcuni lavori nei quali la mano del Nostro si è ben connessa con quella di altri autori, a partire dal caro amico Lorenzo Del Piano e Maria Luisa De Felice per comprendere Gianfranco Tore e Sergio Serra, Maria Dolores Dessì e Francesco Boggio, Giulio Sapelli e quell’Achille Sirchia del quale avrebbe tracciato un bel profilo pochi anni dopo la scomparsa (“Uomo del fare: il cagliaritano che ha rivestito un ruolo di assoluto rilievo nello sviluppo economico registrato dalla nostra città a partire dagli anni Sessanta del Novecento”, in Almanacco di Cagliari 2010). Il maggior riferimento è, al riguardo, a due opere ampiamente ricognitive della storia economica isolana vista attraverso le lenti protagoniste della Camera di commercio di Cagliari e dell’Associazione Industriali della provincia di Cagliari associata alla Confindustria (in questo caso nel 70° della fondazione). Si tratta di opere corpose ed articolate rispettivamente in tre e due volumi raccolti in cofanetto di gran pregio tanto sotto l’aspetto dello studio saggistico quanto sotto quello della resa editoriale, anche per la partecipazione (nel secondo caso) della Sovrintendenza archivistica per la Sardegna.
Meriterebbe specificare che, circa la storia della Camera, il contributo di Paolo Fadda si concentra… ma per espandersi in quasi duecento pagine!, nel secondo volume, sul ventennio (di dittatura) fra guerra e guerra. Questi i titoli dei suoi cinque capitoli che dimostrano, una volta ancora, la validità dell’assunto riguardo alla trasversalità degli interessi e delle competenze dello studioso e dell’autore: “La Camera di commercio: Tra recessione postbellica e corporativismo”, “L’agricoltura: Tra bonifica integrale e arretratezza”, “L’industria: Tra protezionismo autarchico e libero mercato”, “ Il commercio: Tra la pochezza dei consumi e il nodo dei trasporti”, “La società: Tra mode culturali e vizi della politica”. Il tutto distribuito in ben 37 paragrafi e con il supporto di 126 note. In quanto alla ricostruzione delle vicende dell’Associazione Industriali (“Uomini e industrie” e “La memoria dell’impresa” sono i titoli dei due tomi), uscita nel 1995 e dunque due anni prima dell’altra, va detto che la parte da lui curata si pone – corposa quanto l’altra – come in ideale continuazione temporale del contributo presto offerto alla rivisitazione della storia camerale: “Gli anni dell’Associazione degli Industriali (1944-1984)”.
In tema di industria (e invero anche degli altri comparti produttivi) merita senz’altro una citazione il volume Per una storia dell’industria in Sardegna, pubblicato nel 2008 dall’editore Zonza ed articolato in nove capitoli (“Il punto d’avvio: la Rivoluzione delle misure”, “Seguendo le rotte del sale e del vino”, “Dalla società dei privilegi a quella delle sfide”, “Le prime industrie capitalistiche: miniere e ferrovie”, “L’ascesa dell’agroindusria: farine, formaggi e vini”, “Il progresso giunge nell’isola con i milioni di watt”, “I nuovi protagonisti: energia, turismo, petrolio”, “Il declino dell’opzione industrialista”, “Per un diverso futuro industriale”) più un decimo – titolo “Nel piccolo ‘Pincio’ degli industriali sardi” – che ricomprende i profili biografici di alcuni grandi imprenditori del tempo passato: Giovanni Antonio Sanna, Francesco Zedda-Piras, Amsicora Capra, Giulio Dolcetta ed altri del tempo invece più vicino, quelli degli anni della Rinascita e successivi (Trois e Ticca, Gualino e Grauso…).
A scrivere anche di agricoltura e turismo…
A voler ancora insistere nel libero viaggio fra l’impressionante quantità di scritti lasciatici da Paolo Fadda godendo dei riflessi del suo eclettismo, e prima di riprendere la sequenza delle tappe dei suoi “ufficiali” percorsi di vita professionale e pubblica, si potrebbe ancora esplorare quanto rimessoci in materia di agricoltura e turismo, infrastrutture e commercio. S’è ricordato che dal 1978 egli – iscritto all’ordine dei giornalisti pubblicisti dal 19 febbraio 1963 – ha la direzione di Agricoltura Informazioni, una rivista di aggiornamenti legislativi e di approfondimenti economici aperta a contributi di operatori ed esperti: e forse vale dire qui, ripensando a tale esperienza redazionale, che Sardegna Economica – il periodico camerale andato, con l’abilissima direzione dello stesso Fadda, a coprire buona parte dell’ultimo decennio del Novecento e l’intero primo dodicennio del nuovo secolo sviluppando precedenti e più “esangui” pubblicazioni dello stesso ente – sarà come una maturata proiezione di quella prima indovinata sperimentazione di giornalismo economico, in marcata evoluzione contenutistica e grafica oltreché, naturalmente, in rilevante maggiore diffusione fra platee neppure mai direttamente collegate con il mondo della produzione.
Insieme con il tema minerario e quello creditizio, quello pertinente all’economia rurale (sia in quanto settore primario sia per le opportunità industriali sviluppabili nell’agro-alimentare e per valenze ricettive delle campagne da realizzarsi in chiave di agriturismo) è presente anch’esso fra gli interessi di scrittura dell’intellettuale che le circostanze hanno investito anche di funzioni pubbliche e fra esse quelle “registiche”, se può dirsi così, di consigliere d’amministrazione d’un importante istituto di credito quale è il Banco di Sardegna: nella sua produzione giornalistica abbondano gli echi delle esplorazioni compiute nel vivo delle aziende e non soltanto nei report degli uffici studi, siano pure del suo istituto. Ed anche in questo caso è facile rilevare come le analisi del presente s’alternino con i ripassi della storia.
Ecco così, pescando, quasi a caso, e tralasciando le speciali edizioni di Agricoltura Informazioni, “L’ambasciatrice e il pecorino” (in Sardiniapost Magazine, n. 4/2017) e “Le ragioni di un dossier d’informazione per lo sviluppo: sullo stato di salute della filiera lattiero-casearia: puntare sull’innovazione per superare la crisi. Pastorizia, una questione lunga un secolo” (in Sardegna Economica n. 5-6/2010), “La dinasty del formaggio: la saga degli Albano, una famiglia di intraprendenti industriali caseari trapiantata a Macomer (in Sardegna Fieristica 1993) e “Una prestigiosa impresa cagliaritana protagonista del progresso economico: la Vinalcool di Amsicora Capra (1908-1930)” ed anche “Tutelare la qualità della viticoltura sarda fattore critico di successo per il futuro: a colloquio con il presidente del consorzio sardo dei Vini Doc” (ancora in Sardegna Economica, rispettivamente numeri 1/2006 e 4/2007), “Agro-alimentare: un settore strategico per l’economia sarda: colloquio con il professor Giuseppe Usai” e “Nostalgia di quei missionari agricoli: una benemerita istituzione troppo presto dimenticata” (circa la cattedra ambulante, s’insiste in Sardegna Economica, rispettivamente numeri 2/1997 e 4/2010). Uno speciale interesse mostra, Fadda, per la Reale Società Agraria ed Economica: delle sue Memorie, recensendo un bel lavoro di Pietro Maurandi, scrive nel 2002 ed in proprio, con una ampia rivisitazione dei suoi scopi e dei suoi risultati, scrive nel 2011: il campo è sempre quello di Sardegna Economica (cf. n. 2-3).
Il volume, edito dalla stessa Camera di commercio di Cagliari nel 2001, Da principessa a cenerentola: per un’interpretazione storico-economica delle vicende dell’agricoltura sarda nel 20.mo secolo dimostra anch’esso l’attenzione critica riservata al primario isolano, comparto su cui ripetutamente torneranno scritti di taglio puramente giornalistico. Una menzione meriterebbero, a questo punto, per connessione tematica, almeno due altri contributi specificamente riferiti al turismo rurale e a quanto il turismo isolano potrebbe ricavare dalla valorizzazione del suo cospicuo parco equino: “Occorre un programma organico per lo sviluppo delle vacanze nel verde: un discorso ‘aperto’ sul turismo rurale” e “Il cavallo grande protagonista del lancio turistico di Cagliari: i primi trent’anni della Società Ippica di Cagliari,1928-1958 (in Sardegna Economica, rispettivamente numeri 1/2002 e 5-6/2007).
…e di infrastrutture, fra ferrovie, porti ed aeroporti
Neppure potrebbe mancare dai ricacci del repertorio di Paolo Fadda il tanto da lui scritto circa le complesse e sempre sconsolatamente avare vicende delle grandi infrastrutture isolane, tanto più quelle portuali/aeroportuali e ferroviarie. Sono almeno trenta, distribuiti fra le varie testate periodiche, gli interventi in materia che analizzano le esperienze più o meno remote compiute da chi immaginò vettori marittimi o aerei – bastino i nomi dell’Airone e della Sardamare – capaci, dopo la guerra e la fine della dittatura, di togliere dal suo isolamento una Sardegna ancora imprigionata nella arretratezza del costume oltre che della economia. Né soltanto di storia, però, egli tratta, perché anzi il suo interesse circa l’attuale validità economica dei sistemi trasportistici (e naturalmente l’efficienza del servizio per il pubblico) è sempre vivo e critico ed entra anche nelle conversazioni, di cui periodicamente dà conto, con il presidente camerale o – relativamente ai traffici aerei, così essenziali per l’Isola – con quello della Soager-Aeroporto. In quest’ultimo caso, e centrando le annate di Sardegna Economica, si vedano, nel mezzo di tutto il resto: “Nell’internazionalità e nella smilitarizzazione i progressi dell’aeroporto cagliaritano: a colloquio con il presidente della Sogaer”, “L’aeroporto di Cagliari disegna il suo futuro per l’affermarsi come volano di progresso: una lunga conversazione con il presidente Sogaer”, “Un aeroporto che colleziona primati: Sardegna Economica intervista il Presidente della Sogaer”, “Da Cagliari-Airport si vola per tutt’Europa: un lungo colloquio con il Presidente della Sogaer”, “Uno scalo aeroportuale sempre più ‘in progress’: a colloquio con il Presidente di Sogaer” (cf. nn. 6/2004, 1-2-3/2007, 1 e 6/2009, 1/2011).
Sui traffici e scali aerei, e ancora su Sardegna Economica, “Era il tempo in cui si volava a bordo di piccoli e lenti idrovolanti: sessantacinque anni fa veniva inaugurata l’aerostazione civile di Elmas” (n. 4/2002) e “Un’architettura d’avanguardia per il futuro dei viaggi aerei: il presidente Ciampi in visita alla nuova aerostazione di Cagliari” (n. 1/2004), sull’Almanacco di Cagliari “A supporto del volo: nella storia dell’aviazione civile a Cagliari, prescindendo da alcuni locali di fortuna, s’individuano quattro aerostazioni” (cf. edizione 2005).
E su quelli marittimi e la portualità isolana: “Navigare sardo: una coraggiosissima iniziativa nell’economia cagliaritana del passato, la flotta Vinalcool” (in Sardegna Fieristica 1988), “Auspicabile e quantomai strategico un ‘risorgimento’ dei porti sardi: interessante rapporto della Unioncamere sulla portualità isolana”, “Un lungo e appassionato impegno per la modernizzazione del porto: la Camera di commercio ed il potenziamento dello scalo marittimo”, “Sembra sia giunta al termine dopo settant’anni la presenza nei porti sardi delle navi ‘napoletane’: Tirrenia di navigazione, una storia molto italiana”, “Vantaggi e pericoli di una rivoluzione: in tema di vettori e collegamenti marittimi” (in Sardegna Economica, rispettivamente numeri 5/1998, 3/2002, 1/2008 e 1-2/2010).
In quanto poi ai trasporti su binario e anche alla elettrizzazione dell’Isola, lo sguardo indagatore dello studioso e del divulgatore insiste nelle perlustrazioni del passato e nelle verifiche del presente, cogliendo gli interessi e le dinamiche regionali e… appassionandosi a quelle particolari della città capoluogo. Ecco quindi “Il chilowattora tra noi: l’elettricità in Sardegna”, il citato “Binario privatizzato: nei primi anni trenta la Banca Commerciale elaborò un progetto per riunire sotto il suo controllo tutte le linee ferroviarie sarde”, “Dai carri ai convogli su rotaia: a Cagliari, la vicenda dei tram cominciò il 2 settembre 1893”, “Binari in città: il 2 settembre 1893 Cagliari fu collegata con Quartu Sant’Elena mediante convogli trainati da locomotive a vapore”, “La rivoluzione elettrica spenta dalla resistenza delle forze conservatrici: alterne vicende nella modernizzazione isolane”, “Come e perché la Sardegna giunse in ritardo alla statizzazione della rete ferroviaria: le vicende della Compagnia Reale delle Ferrovie Sarde” (cf. le edizioni 1991, 1994, 1995 e 2001 di Sardegna Fieristica, ed i numeri 1/2001 e 5/2004 di Sardegna Economica), “II primo treno arrivò in ritardo” (in Sardiniapost Magazine n. 6/2017).
Di elettrificazione e di grandi dighe in nascita e in morte per una nuova rinascita, guardando all’Oristanese, ecco riferirne ancora in Sardegna Economica: “Alberto Lodolo: il finanziere dell’elettrificazione della Sardegna: breve ritratto di uno degli autentici promotori del ‘progetto Tirso’” e “Scompare la diga di S. Chiara sul Tirso: grande evento-simbolo di questo secolo: imminente l’entrata in funzione del nuovo sbarramento di ‘Sa Cantonera’” (cf. nn. 3/1997 e 3/1999). Né poi, a dire di infrastrutture, potrebbe omettersi dall’elenco la telefonia che rappresenta, nell’immateriale (e ovviamente prima della telematica e/o dell’informatica, della digitalizzazione, ecc. che sono materia di questi ultimi tempi), la variante più moderna, lungo il passaggio di secolo – quello fra XIX e XX –, e che vede il capoluogo meridionale dell’Isola aprire la prima centralina nella piazza Yenne e prestissimo attivare la rete delle comunicazioni con Sassari e gli altri maggiori centri della regione: “Ricordo dei coraggiosi pionieri della telefonia cittadina: il servizio telefonico a Cagliari ha giusto compiuto cent’anni” (in Sardegna Economica, n. 6/2002).
Manager di gruppi finanziari
Manager nelle aziende di famiglia e consigliere d’amministrazione di enti pubblici di rilievo regionale, conosciuto per la sua propensione “relazionale” e al dialogo fra “sistemi”, Paolo Fadda è raggiunto, nell’inoltro degli anni ’70, anche da diversi incarichi apicali di “pilotaggio” dei loro interessi sardi da parte di compagnie nazionali talvolta anche con espansioni estere: valga ricordare qui, in particolare, almeno dal 1978 al 1986, il gruppo finanziario Bastogi-SAIA, passato poi all’immobiliarista Giuseppe Cabassi, e le derivate (quotate in borsa) Brioschi Finanziaria (poi Brioschi Sviluppo Immobiliare) ed alberghiera Custom. La presenza del Nostro in tali contesti non è certamente “ragionieristica” ma latamente, se può dirsi così, umanistica, nel senso che l’obiettivo cui essa – presenza-presidenza – mira, con la propria partecipazione amministrativa, è quello di sostenere le fortune delle società affidategli favorendone la “presentazione” agli organi politici e di governo interessati e l’inserimento nei mercati d’investimento prescelti dall’azionista e ben conosciuti (anche per la parallela e trainante esperienza di consigliere del Banco di Sardegna) da chi “traffica” nell’economia regionale ormai da trent’anni.
A dimostrazione dell’assunto merita a questo punto considerare quanto e come egli sappia tradurre in concreta iniziativa di cultura e sentimento sociale quel che il suo ruolo di manager gli consegna: giusto all’inizio degli anni ’80 la SAIA deposita il suo “piano di recupero Stampace alto a Cagliari”, così come l’ha elaborato lo studio di progettazione Poli-Tec che riunisce diverse competenze ingegneristiche (ma anche architettoniche, impiantistiche e trasportistiche) di altissimo livello, valorizzando l’innovazione tecnologica e, quando riferito ai centri storici urbani, il rispetto pieno ed integrale della storia del territorio. Date queste premesse, la SAIA nella persona del suo presidente – il cui ufficio è al piano nobile (poi venduto al Banco di Napoli per le necessità della propria Area Territoriale Sardegna) di Palazzo Tirso: giusto quell’edificio progettato nei primissimi anni ’20 dall’ing. Flavio Scano – promuove un importante e largo dibattito pubblico, che coinvolge insieme, nelle sale e sulla stampa, la Municipalità e la popolazione residente interessata ad abitare case risanate ed efficienti in un sito nel quale forse da generazioni, lungo sei e forse sette secoli, le famiglie hanno vissuto e creato quella rete di relazioni che ha distinto il quartiere. Alla fine, anche per le incertezze dell’Amministrazione civica e delle forze politiche, non se ne farà nulla, e alcuni sporadici interventi risanatori di immobili dismessi ed abbandonati (fra i quali quello in cui visse l’avv. Antonio Scano, nella via Azuni) saranno realizzati da una cooperativa sorta all’ombra della parrocchia, mentre il complesso del quadrilatero che muove dalla piazza Yenne ed arriva all’Ospedale civile del Cima, inglobando alcune delle più preziose e monumentali chiese cittadine (da Sant’Anna a San Michele), proseguirà nel tempo la sua materiale decadenza.
In quanto cagliaritano che conosce ed ama Sassari, sorella e non avversaria del capoluogo regionale, non è difficile a Paolo Fadda estendere ad essa molte delle considerazioni da lui sviluppate sul bisogno e l’urgenza di una rinascita dei quartieri storici che, appunto a Sassari come a Cagliari, si identificano con la città medievale e aragonese e poi spagnola. Valga al riguardo l’incisivo, appassionato articolo uscito su La Nuova Sardegna del 6 marzo 1981 “Facciamo rivivere la vecchia città: a Sassari come a Cagliari il centro storico è in disfacimento”. Ma importa dire qui che una tale apertura al nuovo nel rispetto sostanziale del pregresso, insomma una proposta produttiva da parte di una società finanziaria che non vuol cedere, cinicamente, a strette logiche speculative e di profitto, è accompagnata – proprio per l’intuizione del presidente – da alcune iniziative editoriali di grande raffinatezza come sono le pubblicazioni affidate alla Electa di Milano di due monografie (fuori commercio) a firma di Antonio Romagnino e corredo fotografico di Gianni Berengo Gardin e Magda Arduino: Cagliari, Marina: memorie ed immagini per un recupero del vecchio quartiere (1981) e Cagliari, Castello: passato e presente di un centro storico (1982). In preparazione vanno anche i volumi sugli altri due quartieri Stampace e Villanova, ma le vicende societarie hanno poi impedito il compimento pieno del progetto.
Presidente di Is Morus e ancora pubblicista
Pur sotto altri aspetti, converge in questa stessa visione di rispetto del territorio che pur deve subire trasformazioni importanti, anche l’avventura di Is Molas – il complesso turistico costiero in capo al comune di Pula che, ricco di strutture abitative, alberghiere, sportive ecc., ha teso a salvaguardare e pure valorizzare, appunto trasformandolo, il patrimonio naturalistico locale. In quanto filiazione della SAIA, di questa la società proprietaria del resort assume pienamente la filosofia industriale, raccogliendo, in breve, generalizzati apprezzamenti dall’Italia e dall’estero, le attenzioni della grande stampa specializzata e dei tour operator di mezzo mondo. In tale contesto è fatto puramente conseguente che la presidenza del Consiglio d’amministrazione anche di Is Morus sia affidata al commendator Fadda che ben conosce, e lì ha anche consuetudini di vita, tutta l’area costiera ad occidente del capoluogo e che, forte di tale esperienza manageriale, firma una interessante nota introduttiva a un documento, datato proprio 1981, dal titolo Considerazioni sulla programmazione turistica.
Così com’era stato nella stagione giovanile dell’esordio professionale (quando le sue collaborazioni alla stampa privilegiavano lo sport) ed in quella successiva, della prima maturità, d’impegno strettamente politico ed amministrativo in quanto consigliere comunale e capogruppo, anche in questa nuova fase di vita pubblica – con presenze “diffuse” fra board manageriali di enti di rimando statale o regionale e di grandi compagnie finanziarie-immobiliari – Fadda si conferma… vocazionalmente amante della pubblicistica e – al momento affiancandola alla direzione di Agricoltura Informazioni e focalizzandola nel triennio 1979-1981– inaugura una intensa collaborazione con La Nuova Sardegna, cui riserva ben 51 interventi (34 nel 1979, 12 nel 1980 e 5 nei primi mesi del 1981). Gli argomenti che entrano nella sua trattazione sono i più vari, andando dalla storia locale, ora letteraria ora economica, all’attualità dello sviluppo industriale o all’ammodernamento delle maggiori infrastrutture civili dell’Isola, ed alle grandi questioni nazionali (circa il terrorismo, il delitto Moro, ecc.) ed internazionali (come l’apertura USA al berlingueriano Partito Comunista Italiano in progressivo “raffreddamento” verso l’URSS).
Anni ’90, editore in proprio
Progressivamente alleggeritasi l’“alluvione” degli incarichi tanto più concentratisi negli anni ’70 ed ’80, la nuova stagione di vita e di presenza pubblica del nostro commendatore ormai sessantenne si orienta verso la consulenza aziendale e direzionale che peraltro considera occupazione quasi… di passaggio, volgendo i suoi prevalenti interessi verso una più gratificante (sul piano tutto culturale) attività di studioso e scrittore. Le vaste letture e le ricerche condotte negli anni, propiziate anche da taluno degli uffici affidatigli che lo hanno messo in contatto diretto con “giacimenti” documentari pressoché sconosciuti anche agli specialisti dell’accademia e dunque inediti – si pensi, a proposito dei “giacimenti”, all’Ente Minerario Sardo, e appunto ai “giacimenti” (cartacei però) degli archivi della Montevecchio passati nel dominio di amministrazioni comunali come quelle di Arbus o Guspini – sollecitano il Fadda degli anni ’90 ad avviarsi ad una benemerita – quale sarà unanimemente riconosciuta – intrapresa editoriale.
Egli inventa, appunto nel 1990, una società – una srl – battezzandola singolarmente col nome di un inglese che aveva conosciuto bene la Sardegna nella metà dell’Ottocento ed era stato anche console del governo di Sua Maestà Britannica a Cagliari: Sanderson Craig. Una società di consulenza aziendale, la sua, con sede in Pirri nella moderna via Tommaso d’Aquino, cui affida la stampa, nel decennio, di tre suoi libri, dispensandosi così dal dover pietire un impegno, foss’anche un modesto investimento, ad alcun editore sulla piazza. Escono così Alla ricerca di capitali coraggiosi: vicende e personaggi delle intraprese industriali in Sardegna, nel 1990; Sa cittadi avolotara (sottotitolo Borghesi, Majolus, Poeti e Palazzinari nella Cagliari della fine del secolo scorso), nel 1991, e, nel 1999, Avanguardisti della modernità: alle origini della trasformazione industriale della società agricola sarda, vero e proprio focus sulle dinamiche dell’economia isolana fra Ottocento e Novecento. Senza preziosismi accademici e anzi con contenuti invitanti alla lettura anche di un quidam comunque attento a quanto si muove nella sua terra, e presentati con una grafica sapientemente vivace eppur sobria, allettante uno sciolto ripasso di biografie personali e aziendali ben collocate nei loro contesti ambientali e temporali, tanto Alla ricerca quanto Avanguardisti si rivelano titoli felicemente accolti dal pubblico, arrivando entrambi a tiratura esaurita ed aprendo una strada che la collana “I grandi dell’imprenditoria in Sardegna” lanciata dall’editore Delfino dieci anni dopo percorrerà con pieno successo.
Sa cittadi avolotara, da parte sua, inserendo nella propria impaginazione anche una gustosa galleria di caricature dei VIP cagliaritani dei remoti anni della belle époque, accosta un pubblico appassionato alla storia minore del capoluogo (quel pubblico che ai vari mercatini domenicali va alla caccia di immagini del tempo che fu), incoraggiando altri autori (da Podda a Cao, da Lucchese e Sirchia a Murtas ad altri ancora) che nello stesso periodo e dopo azzarderanno presentare i loro lavori di scavo della storia municipale accompagnandoli con una iconografia che restituisce colore e sapore del bacareddismo o del cocchismo…
Cagliari amore mio
Bisognerebbe dire che la scrittura di Paolo Fadda è una scrittura semplice nella sua fluida eleganza, tale da rendere accessibile a tutti i suoi testi. E che i temi che egli tratta – anche e soprattutto nella larga varietà che collega sempre storia e tempo presente, economia e società, Cagliari e la Sardegna e il vasto mondo, la religione e la politica negli alti versanti ideali, i profili dei protagonisti e le scene sociali – incontrano, in linea generale, facile interesse nella vasta platea dei potenziali lettori sia di libri che di riviste o giornali. Sicché sembra ben appropriato quel certo titolo che Giovanni Mameli, recensendo in Sardegna Fieristica del 1999 il volume E a dir di Cagliari… curato da Cenza Thermes ed uscito a fine 1997 da Gianni Trois Editore, vuole dare al suo pezzo: “Da Filippo Cassio a Paolo Fadda: Cenza Thermes ha ordinato in una ricchissima raccolta di testi riguardanti la nostra città, dovuto ad autori delle più diverse epoche i quali ne illustrano la felice ubicazione geografica, le bellezze paesaggistiche, le vicende storiche”.
Cagliari, è risaputo, rappresenta il grande amore del nostro commendatore che di essa gode per le naturali bellezze ma che, forse, di più ancora apprezza il protagonismo dei suoi ceti industriosi, proletari e borghesi. Di questi ultimi in particolare – gli “uomini del fare” (come li avrebbe chiamati Bachisio Zizi) – egli si sente chiamato a rendere i profili biografici e ad illustrare con vanto le realizzazioni che hanno avuto, e in certi casi ancora hanno, ricadute nel più vasto territorio provinciale e regionale. Alla sua città di nascita e formazione (e anche di prevalente successo professionale) dedica una infinità di saggi che se, di necessità, guardano alla evoluzione urbana nei suoi aspetti fisici e sociali di larghe dimensioni lungo il tempo – e fra tutti basti citare qui da Karel a Cagliari, due millenni di storia della città (del 2013), ma anche, per la centralità delle dinamiche portuali nel contesto invero non soltanto cittadino, il saggio “Il porto di Cagliari nella storia: dal Breve pisano al terminal container” (in Il porto di Cagliari: la storia e le storie), uscito nel 2002 per i tipi di Carlo Delfino editore – certamente non mancano di cogliere limiti e contraddizioni, di lato al sorgere di nuove potenzialità, nel presente.
Entrano in questa specifica produzione centrata sulla capitale sarda diversi lavori, con ampio accompagnamento fotografico (merito di Enrico Spanu, Priamo Tolu e Anna Marceddu), sulla città degli artigiani, dei negozianti e dei ristoranti – una trilogia apparsa fra il 2006 e il 2009 e capace di raccontare con vivezza di accenti una modernità in cerca ora di sani risvegli dal passato ora di svolte innovative nei modelli sociali insieme di lavoro e di consumo, azzardando tipologie che aggancino (ma con quanto rischio di omologazione!) i nostri mercati a quelli d’oltre Tirreno o del vasto mondo. Città di mediazioni, di terziario prevalente, il capoluogo sardo è riconosciuto quale naturalmente esso è: “Quando il commercio divenne il volano per la trasformazione moderna della città: per una storia dello shopping cagliaritano” (in Sardegna Economica, n. 3/2006). C’è nobiltà anche nel commercio… E d’altra parte, il patriarca che viaggia per sempre nuovi traguardi d’età pare voler allargare le sue braccia fino a comprendere (non sempre ad apprezzare) le realtà più nuove e innovative presenti nella sua città senza però mai tradire la memoria vivida di quanto egli ha conosciuto e frequentato nelle stagioni di vita più lontane e che gustosamente si permette di commentare con Sergio Orani, a voler citare un altro titolo, in Cagliari memories, uscito nel 2009, o in perfetta solitudine nella prefazione a Casteddu a fund’in susu pubblicato da Giampaolo Lallai nel 2014. Né parrebbe estraneo a questo giro di considerazioni quanto a sua firma appare in Ritrovarsi nel Largo. Storia e progetti per Cagliari che si rinnova, pubblicato dalle Edizioni della Torre per conto del Rotary club cagliaritano nel 2006: “Il Largo Carlo Felice, infrastruttura di trasporto?” e “La via dello shopping fra banche e negozi alla moda”. Moderno tradizionalista, potrebbe dirsi.
La formula non renderebbe all’uomo i suoi meriti però. Egli guarda alle dinamiche demografiche della sua città, osserva e studia i movimenti migratori, gli arrivi tanto più, ormai, dal mondo povero dell’Africa e dell’Asia più lontana, e le malinconiche cessioni di molti giovani preparati e professionalizzati costretti a lasciare la loro terra dalle avarizie del sistema produttivo locale (e delle amministrazioni, dell’università, dei centri di ricerca) in cui, peraltro, non mancano le eccellenze. Ha studiato, Fadda, i giovamenti che l’Isola e soprattutto il suo capoluogo hanno tratto dall’arrivo di operatori economici – industriali e “negozianti” (com’erano definiti gli uomini d’affari che reggevano le rappresentanze delle grandi compagnie nazionali ed estere, in campo assicurativo come nell’import/export) i quali dalla Lombardia o dalla Francia o dalla Svizzera, dall’Austria, dalla Germania, dall’Inghilterra… avevano portato, nei decenni attorno al clou dell’unità d’Italia, mentalità nuove oltre che capitali affluenti. Ne dà conto nel contributo “Ruolo e meriti degli imprenditori forestieri nella Cagliari sabauda” che figura in Storia della Cagliari multiculturale tra mediterraneo ed Europa: atti della giornata di studi su immigrazione a Cagliari sino al 20° secolo, uscito nel 2009 (e in parte ripreso, con il titolo di “Il passaggio da una società delle rendite ad un’economia degli affari e dei profitti: imprenditori forestieri nella Cagliari sabauda”, in Sardegna Economica n. 2/2006).
Conosce le complessità (e le criticità) che i tempi impongono a tutti gli attori sulla scena, nei ricambi demografici, nelle attrazioni che le città meglio organizzate esercitano sulle aree destinate sempre più allo spopolamento da politiche incapaci di una redistribuzione, non campanilistica però! delle risorse. Ecco così uscire, dal gran paniere delle sue riflessioni, il capitolo “Le economie urbane nella Sardegna contemporanea”, presente nel corposo volume Le città, curato per la CUEC, ma con la committenza del Banco di Sardegna, da Gianni Mura e Antonello Sanna nel 1999, così come il sofferto articolo “Il capoluogo contestato: Cagliari, gli altri sardi non la amano” (in Almanacco di Cagliari 1996). Sa, il nostro commendatore, che ogni teorica oppositiva, di una (sia pure inconfessata) mutua opposizione fra Cagliari e la Sardegna, è impropria ed ingiusta. Sempre di più Cagliari come polo universitario e sanitario, come centrale burocratica o politico-amministrativa e commerciale, come eccellenza sportiva e di divertimento, come cento altre cose ancora, è città-regione, luogo attrattivo e di soddisfazione dei molti che, lungi dall’avvertirlo come estranea a sé, anzi lo inglobano nel proprio immaginario e nel proprio sentimento perché frequentato secondo i codici di una cercata ed appagante, e legittima, seconda cittadinanza.
E peraltro ha egli stesso per primo, il cagliaritanissimo Paolo Fadda, coscienza del suo “meticciato”, se è vero che Iglesias e Tiana, la Marmilla di Gesturi e (per episodio di nascita) Dorgali e Sassari e perfino Cesena entrano nella sua più prossima genealogia e non può perciò non sentire sopra di sé la responsabilità di una cittadinanza larga, territoriale e storica. Guardando (forse anche contemplando, secondo la sua spiccata sensibilità religiosa) la propria città, egli ne coglie i tratti accoglienti: tutta la sua ricerca prova di questo respiro “ecumenico”, di questo abbraccio naturale e spontaneo che non è respinto da nessuno che non voglia far di sé un monumento di alterità e anzi di immotivata, ingiustificata alterigia. In Sardegna Economica – la rivista in uscita dal 1962 ma di cui, come s’è detto, la giunta camerale di Cagliari commette a lui, per tre lustri, la direzione e che egli apre a vaste collaborazioni di prestigio e collauda come spazio di confronto di idee – pubblica un lungo e prezioso articolo che dice molto della missione che egli sente doversi mettere in capo alla città capitale della Sardegna: “La necessità di un ‘progetto per Cagliari’. Riscoprire centralità e compattezza: avviamo una riflessione sul futuro della capitale dell’Isola” (cf. n. 3-4/2004). Ed anche un pezzo che all’apparenza dice altro, come quel “Riconquistare il fronte-mare senza penalizzare la fiera: perplessità su un’ipotesi del nuovo piano regolatore di Cagliari” (cf. n. 4/2002) presenta suggestioni e motivi che alla Sardegna e non soltanto al recinto urbano del capoluogo fanno riferimento e pongono domande, sia perché lo spazio fieristico parla non cagliaritano stretto ma sardo e italiano e inglese – e al riguardo bisognerebbe rimandare a Storia di una Fiera, una bella pubblicazione curata da Fadda, per conto della Camera di commercio, nel 1998 –, sia perché il grande affaccio sul Mediterraneo, da definire ma certo non da penalizzare, convoca simbolicamente tutta l’Isola al dialogo con il vasto mondo.
Un sindaco sopra tutti, Bacaredda
Potrebbe forse inscriversi in questo ambito un interessante pamphlet (taluno spirito critico, o ipercritico, potrebbe però retrocederlo al rango di un “ripasso democristiano”) dal titolo Intervista su Cagliari: lunga conversazione con Emilio Floris su città, problemi e prospettive visti con l’esperienza e la sensibilità d’un Sindaco, apparso nel 2005 (alla vigilia della seconda sindacatura del clinico passato poi, per più elezioni, al Parlamento nazionale). Non sembri irriverente l’accostamento, data anche la differenza della contingenza storica in cui l’azione sindacale ha modo di esprimersi, ma andrebbe richiamato a questo punto nientemeno che il nome di Ottone Bacaredda, il sindaco della città en marche, e, con esso, il contributo offerto da Paolo Fadda, ed uscito purtroppo postumo, al volume curato da Marco Pignotti Ottone Bacaredda sindaco di Cagliari, 2022. Titolo del testo firmato dal Nostro: “Gli anni di Ottone Bacaredda e la nascita della città borghese”. A raccordare l’uno all’altro filone dei preferiti dallo scrittore – la città di più intima appartenenza e la vitalità borghese nel passaggio di secolo e ancora per decenni nel Novecento – paiono significative le ultime righe: «Ci sono numeri che attestano quest’appeal: nei trent’anni trascorsi tra il 1890 e il 1920, le nuove iscrizioni anagrafiche avrebbero superato le 30.000, e oltre un terzo avrebbe riguardato continentali o stranieri.
«Come in tutte le vicende storiche, il revisionismo è sempre di prammatica e anche questa vicenda (come la precedente della “fusione perfetta”) viene letta in maniera opposta, secondo la regola antica dei favorevoli e contrari. Per chi scrive, andrebbe comunque precisato che proprio nella formazione delle borghesie si sarebbe verificato un evidente e positivo risveglio di iniziative da parte degli ambienti locali più aperti alle novità e al cambiamento. Infatti, a partire dai due ultimi decenni dell’Ottocento, agli imprenditori continentali, e liguri per di più, come avvenuto in precedenza, si sarebbero aggiunti man mano degli apporti locali, in gran parte provenienti dai paesi rurali dell’interno. Tiana, Ardauli, Bitti, Serdiana, ecc. sarebbero stati i luoghi di provenienza di quell’imprenditoria autoctona che avrebbe portato al successo personaggi come Zadda-Piras, Cocco, Asproni e così via. Proprio quest’ultimo, proprietario della miniera di Seddas Moddizzis e provetto ingegnere minerario, aveva posto il successo della propria azienda a fianco della crescita delle comunità locali interessate, nella consapevolezza – aveva sostenuto – che quel che si otteneva in profitti industriali dal territorio e dalla sua gente si dovrebbe riversare in risorse destinate a favorire il sorgere di nuove opere sociali».
Sardegna Economica e la collana storica dell’editore Delfino
Ritorna in questa conclusione quel rimbalzo sempre presente negli scritti di Paolo Fadda fra ieri ed oggi, prova della consapevolezza storica dell’uomo di cultura che ben conosce la fluidità degli eventi in successione e i richiami inevitabili, per un modo o per l’altro, ai modelli del passato recepiti, filtrati e rielaborati da parte dei moderni. E foss’anche la logica del confronto a chiamare ad una stessa sbarra di giudizio e l’antico e il moderno, ecco che ancora pare materializzarsi da una parte la consapevolezza (forse soddisfatta) di una eredità che si vede raccolta e dall’altra l’umile riconoscimento di una precognizione o almeno una anticipazione di chi ha saputo seminare. A dire dello sviluppo industriale isolano fra secc. XIX e XX, con larga partecipazione degli operatori minerari, ma invero anche sul prevalente fronte delle professionalità tecniche convocate attorno ai progetti o ai sogni di bonifica agraria (e risanamento dalle infestazioni malariche!), Fadda insisterà, ancora e sempre con santa “curiosità” indagatrice e con risultati di prova e documentazione, in numerosi nuovi suoi interventi di cui Sardegna Economica diviene l’ampio e prolungato e privilegiato luogo di raccolta. Sono considerazioni, queste, che intendono segnalare ancora una volta come le esperienze manageriali maturate in proprio abbiano allargato lo spettro degli interessi del nostro commendatore a tutti i vari settori dell’economia, la comprensione delle cui dinamiche è vieppiù favorita da una… biblioteca omnibus (quella domestica, recante firme qualificate di esperti, docenti universitari, banchieri, operatori, ecc.) che fornisce all’uomo di permanenti studi, quegli elementi di conoscenza dei grandi mercati internazionali entro i quali collocare successi e insuccessi della rete imprenditoriale sarda.
E di più, come detto: v’è in Fadda ricercatore ed interprete, in Fadda storiografo e pubblicista, la capacità di cogliere i nessi fra realtà all’apparenza diverse e distanti, non soltanto sulle frontiere della economia produttiva, o produttivo-finanziaria, ma anche su quelle della politica, perfino nella rappresentanza parlamentare. E si pensi qui alla sua chiamata di “Quei sardi che operarono per ‘Fare l’Italia Una’”, com’è il titolo di un bell’articolo che proprio Sardegna Economica pubblicherà in occasione dei centocinquant’anni dell’Unità nazionale (cf. n. 3 del 2010). Titolo cui mi parrebbe giusto associare anche i ricordi, all’indomani della loro dolorosa scomparsa, di Mario Melis e Francesco Cossiga: “La sardità dell’orgoglio patrio e la forza trascinante dell’utopia” e “Un grande sardo presidente di tutti gli italiani” (ancora in Sardegna Economica, rispettivamente numeri 5-6/2003 e 4/2010). Di lato all’impegnativa ma creativa fatica di dirigere la rivista camerale v’è, nell’ultimo quindicennio circa della vita di Paolo Fadda, quell’altra non meno ambita e gustata – ché i migliori amano sempre faticare! – della curatela di una importante collana di monografie/biografie riguardanti alcuni fra i maggiori imprenditori sardi dell’Otto e Novecento. Alcuni di questi volumi escono a firma dello stesso Fadda, altri a firma di diversi studiosi in specie del Sassarese, sempre per i tipi editoriali di Carlo Delfino. Merita, tale collana, di essere di riepilogata almeno nei titoli così da costituire, sia pure soltanto simbolicamente, il più aggiornato ritorno di memoria circa quanto la saggistica e la pubblicistica isolana abbiano ricevuto da un intellettuale che, mai rinchiuso (o volutamente autorecluso) in un qualche fortilizio edificato dal genio degli ascendenti ai quali avevo fatto, all’inizio, riferimento, è invece vissuto di rapporti e dialoghi e con l’assillo missionario – se può dirsi così – di donare ai tempi commessigli (dalla Provvidenza, avrebbe confidato) un riconoscibile valore aggiunto.
Eccoli i titoli della collana “I grandi dell’imprenditoria in Sardegna” curata dal nostro commendatore sino all’ultimo giorno della sua vita: 1, “L’uomo di Montevecchio. Giovanni Antonio Sanna”, di Paolo Fadda; 2, “Il Cavaliere del Nasco. Francesco Zedda Piras”, di Paolo Fadda; 3, “Il patriarca del molino di Santa Maria. Salvatore Azzena Mossa”, di Bruno Addis; 4, “Il barone delle industrie nuoresi. Franceschino Guiso Gallisai”, di Paolo Fadda; 5, “I fratelli Pinna una storia di successi. L’epopea dell’industria casearia sarda”, di Paolo Fadda; 6, “Il commendatore delle corriere sarde. Sebastiano Pani”, di Alessandro Ponzoletti; 7, “Montevecchio l’ingegnere che la fece più grande. Alberto Castoldi”; 8, “Gavino Clemente il cavaliere intraprendente”, di Marisa Mura. Certamente sarebbe meritoria iniziativa quella di una borsa di studio a un qualche giovane che volesse riferire la sua tesi di laurea alla sterminata produzione di un così facondo e prolifico autore: già soltanto una tesi compilativa (con la sfrontata ambizione della esaustività!) sarebbe un approdo di grande soddisfazione, ma pare anche indubbio che l’incredibile assortimento dei temi affrontati e sempre approfonditi dal Nostro nell’arco di una vita vissuta con trasparente onestà, sentimento sociale e amore alla sua terra e agli studi imporrebbe esso stesso una lettura critica singolarmente significativa. Sarebbe un nuovo e ulteriore e giusto omaggio ad una memoria di merito straordinario.
Gianfranco Murtas